Watchmen è una delle miniserie a fumetti a marchio DC più celebri di sempre. La creano nella seconda metà degli anni Ottanta Alan Moore e Dave Gibbons, regalando un racconto divenuto ben presto iconico grazie alla sua capacità di affettare la contemporaneità dell’epoca. Personaggi estremamente complessi e una storia dalla cruda maturità contraddistinguono le tavole del duo Moore – Gibbons, che molti anni dopo trova anche una trasposizione cinematografica con l’omonimo film di Zack Snyder. Nel 2019 arriva sul piccolo schermo anche un sequel apocrifo firmato da Damon Lindelof e HBO, in Italia su NowTV, che prosegue a trent’anni di distanza gli eventi canonici dei fumetti e ne adatta il contesto e gli sviluppi sopra un’attualità ucronica dai molti punti di contatto con la realtà degli Stati Uniti d’oggi.
La trama di Watchmen
Stati Uniti, 2019. Sono passati trentaquattro anni dal misterioso avvenimento che colpì New York nel 1985: il Dottor Manhattan è ancora in esilio volontario su Marte e il vigilantismo in maschera è illegale dal 1977. Le tensioni razziali sono sempre più alte in tutto il paese, anche a causa delle politiche del presidente Robert Redford volte a garantire risarcimenti economici agli afroamericani e agli altri gruppi che in passato sono stati vittima di discriminazioni.
Nella zona di Tulsa, tristemente nota per il massacro di carattere razzista avvenuto nel 1921, si segnala in particolare la presenza del Settimo Cavalleria, un misterioso gruppo terrorista sostenitore della supremazia bianca che è riuscito a entrare in possesso del diario di Rorschach, contenente la verità sull’incidente del 1985. Mascherati come il vigilante scomparso, i membri del gruppo prendono di mira figure governative come gli agenti di polizia. Per proteggere questi ultimi e le loro famiglie da eventuali rappresaglie sono state varate delle leggi che consentono alla polizia di operare a volto coperto, come dei vigilanti tra cui figurano Angela Abar / Sorella Notte (Regina King), Wade Tillman / Specchio (Tim Blake Nelson) e Terrore Rosso (Andrew Howard).
Watchmen, perché guardare la serie
L’eredità di Watchmen è una di quelle eredità che curva la schiena quando la si porta sulle spalle. E’ un racconto di quelli che ha fatto calco al negativo di un’epoca, che ha scattato un’istantanea di una società e di un periodo alle prese con un passato ingombrante, faticoso da assorbire e spesso rigettato fuori in forme e modi schizofrenici. Un racconto che ha saputo ridefinire il modo di discutere il vigilantismo e i supereroi, scandagliando a fondo i loro dilemmi morali, le loro contraddizioni, i dubbi e le motivazioni alla base del loro operato e del loro servizio per conto degli Stati Uniti.
La miniserie televisiva di Watchmen parte dalla consapevolezza di dover riconfigurare questa metodologia d’analisi dei propri protagonisti impiantandone la matrice d’origine in un Paese teso allo stremo dal conflitto sociale. L’ucronia così come immaginata da Lindelof guarda quindi alla fibra sciupata degli Stati Uniti di adesso e la trasla in uno dei luoghi simbolo, Tulsa, di un altro spicchio di passato con qui la bandiera a stelle e striscie non ha ancora fatto i conti del tutto. Anzi.
Watchmen, ancora una volta, si riconferma essere una lente d’ingrandimento alternativa all’oggi, un filtro attraverso il quale discutere i grandi smottamenti al centro di un dibattito più attuale che mai. Negli albi originali c’erano i timori nucleari della Guerra Fredda e i peccati militaristi degli USA del post WWII, in questa serie sequel c’è invece la questione afroamericana vista dagli occhi di servitori di uno stato che non riesce a proteggerli – perché forse marcio dove meno ce lo si aspetta – e quindi gli cala una maschera sulla testa.
Perché non guardare Watchmen
Quella di Watchmen è una miniserie, in nove episodi, complessa, stratificata, adeguatamente rispettosa del materiale di partenza ma non per questo priva dell’ambizione di metterlo a servizio di un nuovo contesto, di nuovi demoni e nuovi spettri. Riesce poi a tendere la mano, senza forzarla, a personaggi chiave del passato. Ci sono infatti l’insondabile Dr. Manhattan, le cui ragioni e scelte prendono una direzione tanto simbolica quanto netta; il genio rinnegato di Adrian Veidt, l’Ozymandias che simulò un attacco alieno nel finale della serie a fumetti (un machiavellico Jeremy Irons); Laurie Blake / Spettro di Seta (Jean Smart), un tempo vigilante e amante di Manhattan e ora agente di spicco dell’unità anti-vigilanti.
La comunione con il passato è organica, funzionale a tirare le direttrici di una narrazione che cela sempre più livelli di lettura di quelli che appaiono in prima istanza in superficie. Anche per questo il suggerimento è quello di recuperare, magari, prima gli albi dei fumetti originali per poter comprendere appieno il senso e le impalcature logiche dell’ucronia degli Stati Uniti di Watchmen. Uno sforzo tra differenti medium forse non immediato, ma che certamente saprebbe ripagare appieno una volta che si deciderà poi di calarsi in una delle migliori serie TV degli ultimi anni, da vedere, sulla quale riflettere e dalla quale tornare.