Il concertone 2022 si è mosso sulle note della musica sì, ma anche di uno slogan: “Al lavoro per la pace”. Slogan importante, bello, che suona proprio bene, complimenti a chi l’ha pensato. Ma è anche uno slogan impegnativo che pone una domanda: in che modo si sta effettivamente lavorando per la pace? “Boh, non lo sappiamo, facciamo salire un altro cantante sul palco e poi mandiamo la pubblicità, va’”.
Allora una domanda, con tanto di provocazione (forse), la poniamo pure noi: ma quanto sono stucchevoli gli slogan contro la guerra? Sul serio, quanto effettivamente di concreto possono generare se non una sequela di luoghi comuni e frasi perbeniste che servono solo a lavare la coscienza di chi li recita perché “Hey amico, io sono contro la guerra” senza però poi fare attivamente nulla? A cosa serve fare retorica spicciola facile da vendere, se i messaggi non si riflettono sul quotidiano? Ecco, ce lo spiega Valerio Lundini. E lo fa a modo suo, ovvero senza spiegarcelo.
La guerra non finisce cantando
“Purtroppo è un periodo storico un po’ così – esordiscono Valerio Lundini e il suo rotacismo – quindi noi abbiamo scritto una canzone sulla guerra. Ovviamente contro”. Le premesse sono già le migliori, ma poi il comico e conduttore prosegue: “Abbiamo scoperto che l’unica arma contro la guerra è la musica, evviva!”, accolto da un boato del pubblico di piazza San Giovanni, probabilmente non conscio del fatto che Lundini i Vazzanikki avrebbero di lì a poco inteso tutto il contrario. “La guerra è brutta”, questo è il titolo della loro canzone, un titolo volutamente semplice e banale, fatto per dire cose ovvie e scontate, un titolo insomma come piace alla gente comune. Perché alla gente comune certe cose troppo complicate non gliele puoi dire, meglio sparare frasette e slogan qua e là per prendersi facili applausi e diffusi consensi.
E no, la musica non è l’unica arma contro la guerra, come Lundini ha dichiarato per intendere il contrario facendo il verso di quelli che seminano semi di niente innaffiati col liquido del nulla. E lo dice bene qualche verso più avanti cantando “Perché più di qualunque proiettile è potente la nostra retorica”. Perché la musica è un bene straordinario sì, ha una potenza emotiva fenomenale, ma onestamente se un pazzo si mette a bombardare ospedali pediatrici dubitiamo che abbia la sensibilità di fermarsi davanti a una canzone, non credete?
Alla fine oh, “Imagine” sarà anche un capolavoro, ma francamente la guerra in Vietnam è finita perché i nordisti hanno fatto cadere Saigon, mica perché il presidente americano Gerald Ford si è commosso con la canzone di John Lennon. Dai su, diciamoci la verità: la musica viene abusata e le si vuole affibbiare un ruolo più grande di quello che può sostenere. Viene usata come deterrente ai mali del mondo ma è in realtà – spesso – solo un modo per fare altro mentre il mondo crolla. E noi cantiamo. Il mondo crolla e noi cantiamo.
Valerio Lundini al concertone contro il concertone stesso
“E non servono i bunker, visto che l’unica forma di ogni salvezza è sempre e soltanto la musica!”, e qui abbiamo riso, lo ammettiamo. Poi il ritornello: “Perché solo la musica ci può salvare dall’imminente scoppio di un conflitto mondiale e con queste parole, con queste poesie noi fermeremo le artiglierie“. Capolavoro. Valerio Lundini è così, è una persona stufa delle solite frasi di circostanza, degli usi gentili da teleschermo, dei modi di dire e di fare privi di senso. Lo dimostra nel suo programma “Una pezza di Lundini” e onestamente saremmo rimasti delusi se non lo avesse dimostrato anche al concertone del Primo maggio.
Cioè, questo “matto” è arrivato sul palco di uno degli eventi più importanti della musica (e della politica) italiana, in un clima tutto basato sul concetto che la musica combatte la guerra, che la pace è bella, che le rose sono rosse e che il nuoto è uno sport completo, e lui che fa? Smonta tutto, dice velatamente ai cantanti, agli organizzatori, alla Rai (azienda per la quale lavora) e al pubblico un delicato quanto elegante “Ma che ca**o state a di’?”. E mette in mezzo le frasi dei figli dei fiori come “Non fate la guerra ma l’amore” (e aggiunge “Sì però consensuale, che sennò poi alla fine è uguale”), “Mettete fiori nei vostri cannoni”, cita anche “Generale” di De Gregori in un climax ascendente di qualunquismi che demolisce con la sua sagacia.
La finta telefonata con Putin
E nel bel mezzo di questo trionfo di queste frasi da Zecchino d’Oro, arriva l’apoteosi: Lundini interrompe la canzone perché gli dicono dalla regia che c’è un telespettatore che ha telefonato in diretta. È Vladimir Putin. Nel delirio più totale, una voce che imita il presidente russo dichiara che stava guardando il concerto da casa e quella canzone gli ha fatto cambiare idea: “Confesso che stavo per schiacciare l’ennesimo pulsante, ma poi ho sentito le vostre parole. Ho sentito questa canzone e i vostri concetti molto originali. Grazie a voi ho deciso di smettere con la guerra”, dice la voce della finta traduttrice del finto Putin.
E via di esultanze e festeggiamenti, “Ragazzi, ce l’abbiamo fatta! È vero! È vero quello che diciamo da stamattina, che ci si può fare qualcosa con le canzoni contro la guerra”, urla un paonazzo Valerio Lundini. Se avessimo avuto un cappello, ce lo saremmo tolto, ma siccome un cappello non ce l’abbiamo, scriviamo e ora concludiamo questo articolo.
Noi non lo sappiamo come si fa finire una guerra (e non lo sa nemmeno Lundini), abbiamo studiato qualche libro di storia e abbiamo imparato che le guerre finiscono o quando una nazione viene rasa al suolo e sottomessa oppure quando finiscono i soldi per combattere e allora ci si stringe la mano firmando un comodo armistizio. Però ve lo immaginate il pubblico che così, distrattamente, ha sentito in tv che la guerra è finita grazie a una canzone contro la guerra? Dai, ve lo immaginate che crede che sia possibile e che Putin si sia passato una mano sulla coscienza perché dei cantanti hanno detto che la guerra è brutta? Ve lo immaginate? Ecco, immaginatelo: è il pubblico del concerto del Primo maggio.