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Un vero gentiluomo, la recensione (senza spoiler) del film turco

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Saygin è un gigolò di grande popolarità tra le donne ricche di una certa età, disposto a fare qualsiasi cosa per soddisfare le sue esigenti clienti, così da garantirsi una vita all’insegna di ogni comfort. In particolare ha una relazione elitaria con Serap, di diversi anni più grande di lui e che intende averlo tutto per sé, al punto da comprargli una lussuosa casa e a soddisfare ogni sua richiesta. Insieme a lui si trasferisce l’amico e collega Kado, il quale riceve l’insolito compito di provare a sedurre la figlia di Serap, che soffre di problemi di autostima.

Ma nel frattempo anche Saygin si ritrova alle prese con qualcosa di imprevisto. Durante la festa di capodanno ha infatti conosciuto la bella Nehir, un’aspirante cantante, e tra loro scatta un colpo di fulmine che lo trascina in una situazione complicata: confessarle tutto e abbandonare per sempre il mestiere di escort oppure continuare nella menzogna e tentare di tenerla a debita distanza?

Un vero gentiluomo – la recensione: per sesso o per amore

Da diverso tempo i film e le serie televisive di produzione turca sono entrati nel cuore delle spettatrici italiane: un fenomeno cavalcato non soltanto dalle emittenti televisive ma anche dalle piattaforme di streaming, come Netflix che ha recentemente visto l’entrata in catalogo di questo Un vero gentiluomo. Se la scena autoctona può contare su nomi d’eccellenza nel cinema d’autore – basti pensare, uno su tutti, a Nuri Bilge Ceylan – è altrettanto indubbio come siano i melodrammi strappalacrime a caratterizzarne un’ampia fetta di titoli e a rivolgersi al grande pubblico.

E anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una pellicola scontata e molto debole dal punto di vista qualitativo, con una vicenda improbabile che, tra sesso e amore, si trascina su step forzati, inserendo qua e là qualche tragico colpo di scena che non va comunque a guastare un epilogo più lieto che amaro, determinando nuovi possibili sviluppi nella pur contrastata relazione tra i due protagonisti.

L’apparenza vince sulla sostanza

Protagonisti interpretati da Çagatay Ulusoy, una sorta di Scamarcio indigeno, e da Ebru Sahin: lei meglio di lui, ma in generale tra i due vi è una scarsa alchimia che rende la love-story meno passionale del previsto. Colpa condivisa con una sceneggiatura che non inventa niente di nuovo, tra flashback rivelatori e demoni del passato che insidiano i due nascenti piccioncini. Il forzato inserimento di ambientazioni e tematiche sadomaso sembra più un orpello gratuito per insinuare un minimo di patinata trasgressione, come anche la citazione al controverso cult che la coppia va a vedere al cinema, ovvero My Prostitute Love (1968).

Un vero gentiluomo manca di profondità e di adeguato scavo psicologico dei personaggi, che appaiono involontarie caricature di tanti altri modelli ben più ispirati. E le due ore di durata non aiutano, appesantendo e ingigantendo questi difetti che con il procedere dei minuti appaiono sempre più evidenti, anche all’occhio di chi ha una certa benevolenza per questo tipo di storie.

Conclusioni finali

Un tipico melodramma turco moderno, pensato per una platea tipicamente televisiva ma con il malus di essere un lungometraggio di quasi due ore. Una love-story tormentata tra un gigolò stanco di vendersi a donne benestanti e una ragazza che sogna di sfondare nella scena musicale, che si trascina su soluzioni prevedibili e stereotipate.

Un vero gentiluomo, titolo quando meno ingannevole date le premesse, le tematiche e gli spunti trasgressivi più volte presenti in fase di sceneggiatura e relativa messa in scena, strizza ovviamente l’occhio a un target di appassionati, ma anche contestualizzato al relativo filone si rivela più monocorde e banale del solito.

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