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Tomb Raider, recensione (no spoiler) dell’adattamento del popolare videogioco

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La giovane Lara Croft deve ancora trovare il proprio posto nel mondo. Figlia di un ricco avventuriero dato per disperso quando era ancora un’adolescente, è anche erede di quell’immensa fortuna paterna che si rifiuta di accettare, perché farlo vorrebbe dire confermare la morte del genitore, che lei spera invece di ritrovare ancora in vita. Quando infine di decide a firmare il fatidico testamento ed entra in possesso di un oggetto appartenente all’uomo, scopre una stanza segreta nei pressi della tomba e la grande passione del presunto defunto per i misteri. Proprio prima della scomparsa, stava indagando su delle mitiche rovine in un’isola al largo del Giappone, legate a un’antica leggenda. Armata di coraggio e di incoscienza, Lara si imbarca in una missione ricca di incognite e pericoli; giunta a Hong Kong, trova aiuto in un barcaiolo locale, che decide di accompagnarla fino al luogo indicato sulla mappa. Sarà l’inizio di un’incredibile avventura, dove Lara scoprirà di più su se stessa e sulla propria famiglia.

Tomb Raider: all’avventura, la recensione del film (senza spoiler)

Sembrava l’inizio di una nuova vita per il personaggio di Lara Croft sul grande schermo e invece questo reboot è già morto dopo il primo capitolo, per una questione di diritti scaduti e con un ulteriore restart già annunciato per i prossimi mesi. Eppure nel 2018, anno di uscita di questo Tomb Raider, le stelle sembravano favorevoli: la presenza di un’attrice premio Oscar come Alicia Vikander e un imprinting che guardava alle ultime incarnazioni videoludiche erano infatti una carta potenzialmente ottima per un sicuro successo.
Gli incassi al botteghino sono stati però appena discreti, con il mercato cinese che ha evitato il flop, e questa versione dell’iconica avventuriera nata in forma di pixel è destinata a rimanere la sola e unica. Una versione per altro diversa da quella interpretata nel decennio precedente da Angelina Jolie, che era più idonea al prototipo originale dell’eroina per le sue forme e il suo look; ma come detto la Vikander qui ne ricalca, con una certa convinzione, le recenti trasposizioni joypad alla mano.

Rimandi e spunti del film

Interessante l’idea di affidare la regia a un nome pronto all’esordio sui lidi hollywoodiani, ossia il norvegese Roar Uthaug che in passato aveva diretto due interessanti titoli di genere in patria, come il survival-movie in costume Dagmar – L’anima dei vichinghi (2012) e il catastrofico The Wave (2015). Peccato che la sceneggiatura almeno nelle fasi iniziali non conceda troppo campo di manovra, e che la genesi della protagonista sia fin troppo abbozzata, dando molte cose per scontate, con un’introduzione veloce che ha il compito di aprire l’effettiva anima action del racconto.
Ma è nella seconda metà che l’operazione sfodera le sue carte parzialmente vincenti, ovvero quando l’azione si sposta in quella giungla dove la Nostra, armata di arco e frecce, si impegna a sgominare le forze nemiche, saltando di qua e di là e scampando miracolosamente a cascate in piena o a piogge di proiettili.
Soprattutto l’ultima mezzora riprende appieno le atmosfere del videogioco alla base, con una serie di trappole assortite in quelle rovine lugubri e oscure, che richiamano i toni di un platform anti-litteram, tra un Pitfall e un Prince of Persia, con maledizioni varie e un immaginario che richiama alle (dis)avventure di un “certo” dottor Jones.

Conclusioni finali sul film

In molti speravano che il nuovo Tomb Raider potesse dare solidità al futuro del franchise sul grande schermo, con un’ottima Alicia Vikander a sostituire Angelina Jolie in un reboot che ben guardava alle ultime versioni videoludiche. Una speranza disattesa dalla cancellazione dell’annunciato secondo capitolo e che lascia l’amaro in bocca per le potenzialità espresse, seppur ancora in uno stato parzialmente grezzo, in questo apripista che rimarrà fine a se stesso. Se la sceneggiatura è a tratti ridondante e improbabile, l’atmosfera avventurosa della seconda metà e il richiamo a un certo immaginario archeologico su grande schermo regalano un godibile intrattenimento di genere, quasi anacronistico nell’epoca dei supereroi.

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