The Six Triple Eight, la recensione del dramma bellico

The Six Triple Eight

Philadelphia, 1942. Mentre gli Stati Uniti sono impegnati nel secondo conflitto mondiale, l’afroamericana Lena e l’ebreo Abram formano una coppia interrazziale malvista dalla società contemporanea. I due sono costretti a dirsi addio quando Abram decide di arruolarsi per andare a combattere in Europa; quella che doveva essere una separazione contemporanea diventa definitiva giacché il ragazzo resta ucciso in una missione.

In The Six Triple Eight, disponibile su Netflix, Lena scopre soltanto qualche mese dopo della scomparsa dell’amato e dopo un profondo periodo di lutto decide di seguire il suo esempio, decidendo di entrare come volontaria nell’esercito. Si ritrova a far parte di un battaglione composto esclusivamente da donne nere, osteggiato dai piani alti per via del razzismo allora dilagante anche all’interno delle forze armate.

Sarà Roosevelt a incaricare suddetta squadra di un compito assai spinoso, relativo allo smistamento delle lettere dei soldati che da lungo tempo non vengono consegnate alle loro famiglie, abbattendo di rimando l’umore dell’intera nazione che aspetta il ritorno, vivi o morti, di quei figli partiti a sacrificarsi per il loro Paese.

La recensione di “The Six Triple Eight”: una per tutte, tutte per una

Quando si parla di Seconda Guerra Mondiale il rischio di didascalismo è sempre dietro l’angolo, soprattutto se dietro la macchina da presa troviamo Tyler Perry, attore comico e regista statunitense noto soprattutto per aver creato il personaggio di “Madea”. Una carriera non certo costellata da pellicole memorabili, alle quali si aggiunge anche questo dramma bellico che prende spunto da una storia vera, ripercorrendo in maniera più o meno romanzata le vicende del 6888th Central Postal Directory Battalion.

Un racconto che fin dal breve prologo ambientato sul campo di battaglia sembra seguire un prevedibile schematismo, ulteriormente rimarcato nell’insistenza – seppur comprensibile dato la centralità dell’argomento – sulla questione razziale, con i personaggi di etnia caucasica che appaiono eccessivamente caricati in negativo, a porsi quale nemesi tematica delle protagoniste. Allo stesso modo anche il discorso sul patriarcato risulta estremamente facile, con le soldatesse che oltre al colore della loro pelle devono anche combattere per i diritti di tutte le donne.

Una lotta di principio

Protagoniste stoiche nella loro dedizione al dovere, pronte a subire insulti e ingiustizie di ogni tipo pur mettendosi a rischio in prima persona. Un nucleo di figure principali – Lena ha soltanto una leggera preponderanza sulle altre – che sembra essere afflitto da una serie di stereotipi assortiti, con la retorica a esplodere (pre)potente in più occasioni.

Si accentua il dramma, privato e collettivo, ricercando un facile impatto emozionale nei confronti di un pubblico pronto a lasciarsi trasportare, senza farsi troppe domande o badare alla coerenza di fondo.

Le due ore e rotti di The Six Triple Eight cadono spesso in preda alla confusione, con dialoghi ridondanti che hanno spesso il compito di sottolineare quanto appena visto in scena, giocando di fatto con l’intelligenza di chi guarda: tutto è talmente scritto e preparato che viene meno la spontaneità e con essa l’emozione, fondamentale in un’operazione di questo tipo dove il dramma umano, con cui tutti potrebbero identificarsi, dovrebbe essere il magma incandescente della visione.

Conclusioni finali

La storia del primo e unico battaglione composto prevalentemente da donne di colore dell’esercito americano, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, è al centro di un film che pecca di formalismo e della mano spesso pesante del suo regista Tyler Perry, che racconta la storia puntando forte su una retorica facilona e non si prende mai rischi.

The Six Triple Eight si affida alla vicenda umana di queste donne che devono combattere non soltanto contro un ambiente prettamente maschilista ma anche contro il razzismo esasperato, facendosi forza l’una sulle altre per completare il loro incarico e smentire le malelingue. Ma in questa storia di riscatto non tutta funziona e quando è la retorica a vincere sulla sostanza, anche le lacrime diventano più difficili da versare.

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