Composta da un’unica stagione distribuita nel 2020 su Prime Video, Tales from the Loop è una delle serie fantascientifiche più affascinanti degli ultimi anni. La crea Nathaniel Halpern a partire dall’omonima opera illustrata dell’artista svedese Simon Stålenhag, con in produzione il nome noto di Matt Reeves, e la serie si compone di otto episodi che esplorano il misterioso vissuto di una cittadina governata da insondabili ragioni.
La trama di Tales from the Loop
Siamo in un tempo indefinito a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. Siamo in Ohio, in una cittadina sviluppatasi attorno a una struttura sotterranea che ospita un acceleratore di particelle costruito un paio di decenni prima. All’interno di questa struttura, dove lavorano gran parte degli abitanti della zona, vengono portati avanti degli esperimenti ai quali i cittadini si riferiscono con il nome di “Loop”.
Le vicende della serie, che seguono ad ogni episodio l’evoluzione della vita di diverse persone del posto, vengono narrate da Russ Willard (Jonathan Pryce), lo scienziato a capo del progetto del Loop nonché padre di una delle protagoniste, Loretta (Rebecca Hall). In questo incedere non lineare tra avanti e indietro nel tempo, Tales from the Loop ricostruisce i nodi forse inestricabili di un vissuto influenzato a fondo dall’esistenza di questra struttura di ricerca.
Tales from the Loop, perché guardarla
Tales from the Loop è un’opera molto evocativa. Su tutta la serie sembra essere calato un velo di una malinconia richiamata dai tempi compassati della narrazione e dalla profonda cura riposta nella composizione delle immagini. Il gusto pittorico di Stålenhag, le sensazioni veicolate dal suo retrofuturismo, i suoi silenzi, sono ricostruiti nel migliore dei modi all’interno dell’inquadratura.
Durante gli otto episodi vengono consegnate ben poche risposte ai perché delle svolte e degli esiti a cui questo Loop pone di fronte. Ancor meno, probabilmente, vengono poste delle vere e proprie domande. I temi che ricorrono sono quelli noti e cari a una fantascienza che li ha elaborati a dovere da Asimov in poi (con l’interesse per i viaggi nel tempo, l’affronto con il doppio, il rapporto con la robotica), ma Tales from the Loop racchiude le sue riflessioni in queste cornici sospese, trasognate, in movimento ma già immobili, come se appartenessero al regno dei ricordi e delle cose che sono state e ora non sono più.
Ogni immagine dell’opera è un acquerello che racconta uno spicchio di un vissuto personale che in un modo o nell’altro finisce per ricadere nel racconto collettivo di questo luogo, che cambia e muta la sua fisionomia spesso quando non lo vediamo su schermo. I giorni, i mesi, gli anni scivolano via anche quando sembra che lo facciano in modo ingiusto, quasi crudele, con lo spettatore posto dinanzi solo a piccoli frammenti, posto davanti all’esigenza di immaginare, pensare, sognare e anche un po’ soffrire da sé.
Perché non guardare Tales from the Loop
A fronte dell’intenso richiamo poetico che Tales from the Loop emana, c’è anche da segnalare come l’opera non sia intenzionata a fare molti passi nei confronti dello spettatore. Si prende il suo spazio e soprattutto i suoi tempi, che sono spesso dilatati, aperti al silenzio e più alla contemplazione che a un’esposizione diretta e immediata.
Se si vuole apprezzarla per quello che la serie vuole essere, occorre comprendere anche a quale sforzo questa sia chiamando. C’è forse anche da notare che nonostante lo strato di emotività calato rimanga intatto in tutti gli episodi grazie a una narrazione sempre eccelsa, gli ultimi risentono un poco il fatto di non brillare tanto quanto brillano quelli iniziali, davvero magistrali per il lavoro di regia, racconto e messa in scena. La maniera con la quale Tales from the Loop però si chiude raccoglie tutte queste piccole incertezze e le ricongiunge con una lacrima al suo grande cerchio, ancora una volta con la candidezza dei suoi molti e inspiegabili misteri.