Stefano Senardi ci racconta “Pino Daniele – Nero a metà”: “Abbiamo voluto raccontare la sua voglia di farcela. Una serie su di lui? Il rischio è di scivolare nella vita privata – Intervista Video

stefano senardi

A 10 anni dalla scomparsa di Pino Daniele, arriva al cinema un ritratto intimo e profondo dell’uomo dietro l’artista dal titolo “Pino Daniele – Nero a metà”. Prodotto da Fidelio ed Eagle Pictures, per la regia di Marco Spagnoli, il docufilm ripercorre la prima parte della carriera dell’artista. Attraverso gli occhi di Stefano Senardi, amico di lunga data e storico produttore di Pino, il documentario offre uno sguardo inedito sul legame tra l’uomo e l’artista, esplorando il lato più autentico e personale del musicista napoletano. Senardi guida il pubblico attraverso una serie di interviste esclusive con alcuni dei più stretti collaboratori e amici di Pino. Enzo Avitabile, Miriam Candurro, Gino Castaldo, Tullio De Piscopo, Teresa De Sio, Cristina Donadio, Pietra Montecorvino, James Senese sono solo alcuni dei tanti che hanno voluto raccontare e ricordare il grande cantautore napoletano che più di tutti ha emozionato e rivoluzionato con la sua musica. Noi di SuperGuidaTv abbiamo assistito alla presentazione del docufilm e abbiamo intervistato Stefano Senardi. Ecco cosa ci ha raccontato di Pino Daniele.

Stefano Senardi intervista all’autore di “Pino Daniele – Nero a metà”

Stefano quando nasce l’idea di questo docufilm su Pino Daniele?

“Pensavo a realizzare questo documentario su Pino Daniele già da un paio d’anni, quando ho iniziato la collaborazione con Marco Spagnoli per il documentario su Franco Battiato. Un documentario che parte anche dal mio vissuto, oltre che da un legame personale. Ho pensato che avrei voluto fare una trilogia, uno degli altri due era Pino Daniele. Non ci sta rivoluzionario più di Pino Daniele che ha creato rispetto alla città di Napoli con una rivoluzione culturale che ancora dobbiamo comprendere, e questo film ha provato a fare quello: a comprendere quante volte Pino è riuscito a far ritornare il sorriso ai napoletani, e la prima volta è per la strage del terremoto in Irpinia con il concerto in Piazza del Plebiscito. Ha rivoluzionato il linguaggio della musica popolare mischiandolo con quello della musica americana. Una musica che mischia Chicago con Napoli è qualcosa di incredibile che solo un artista di cuore e che ha vissuto il popolo in quel modo, riesce a descrivere gli ambienti e i personaggi di Napoli in questo modo così straordinario raccontando la sua crescita rivoluzionaria dal punto di vista strumentale. Quello che ha fatto Pino è qualcosa di incredibile e poco paragonabile, quindi mi sembra la sfida giusta la cosa da fare”.

Lei è stato amico di lunga data e produttore di Pino Daniele c’è un aneddoto che ha fortemente voluto all’interno di questo documentario e che non poteva mancare?

“In questo film non doveva mancare assolutamente Napoli, non doveva mancare il messaggio che possiamo farcela. Un ragazzo che ce la fa come ha fatto Pino Daniele, deve dimostrare a tanti giovani che non solo si può fare, ma si può riuscire a farcela a livelli altissimi come ha fatto lui. Abbiamo intervistato tre musicisti di Napoli che hanno nel loro repertorio Pino Daniele e mostrano nel documentario non solo quanto Pino sia vivo, ma anche quanto Pino Daniele abbia insegnato e quanto questi giovani ragazzi siano grati a lui”.

Pino Daniele è stato un po’ l’innovatore della musica, ma non solo quella napoletana ma della musica in generale, superando i confini nazionali. Secondo lei cosa piaceva e piace ancora oggi di lui e della sua musica?

“Il suo sorriso, quel sorriso un po’ sornione, sarcastico. Lo sguardo di Pino Daniele quando sorride parla da solo. Poi cosa ha colpito il pubblico è indubbiamente questa musica trascinante. Io ho scoperto di amare tanta musica italiana proprio perché è esistito Pino Daniele”

Lei lo ha raccontato in questo docufilm. Ma come lo racconterebbe a parole a chi non ha avuto modo di conoscerlo?

“Un gigante della musica, un gigante del lavoro, un gigante pensieroso e malinconico.  Non c’è un termine soltanto, come si fa a descrivere Pino Daniele. Con una sua canzone magari, gli farei ascoltare un brano il modo migliore per parlare di Pino Daniele e far ascoltare un pezzo. Sarebbe stato bello portare un ragazzino a vedere un suo concerto, ma purtroppo non possiamo farlo”.

Come brano, quale sceglierebbe?

“Senza dubbio Je so’ pazzo”

Oltre alla sua musica cosa secondo lei Pino Daniele oggi ci ha lasciato come eredità non solo artistica ma anche morale? 

“Pino Daniele ci ha lasciato la forza di volontà, la sensazione che anche da un momento di grande disturbo, di depressione, si può alzare la testa e andare avanti”.

Un cantante amatissimo, un artista di grande talento. Com’era invece l’uomo? 

“Pino Daniele era uomo malinconico e con grandi ambizioni nel senso buono del termine, non era un uomo che si accontentava facilmente. Non era un uomo che si fermava al primo ostacolo, ma neanche un uomo che era soddisfatto del punto in cui era arrivato e lo dimostra anche la sua ricerca artistica, non si è mai fermato, in maniera testarda ha dovuto decidere di evolversi”.

Una operazione nostalgia ha dato vita a una serie sugli 883. Una serie che racconti Pino Daniele, lei come la vedrebbe come idea? 

“Io personalmente penso di no. È talmente grande e così ampia la vita artistica e pubblica di Pino Daniele che ci potrebbe stare. Quando si fanno queste fiction c’è sempre il rischio di scivolare nella vita privata e secondo me non ce ne sarebbe bisogno”.

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