Speak No Evil, la recensione dell’horror danese

Speak no evil

Bjorn e Louise, marito e moglie nonché genitori della piccola Agnes, si trovano in vacanza in Italia, nelle campagne toscane, dove conoscono un’altra coppia con prole, gli olandesi Patrick e Karin, che lì alloggiano con il loro figlioletto Abel, affetto da mutismo. Tra i due nuclei nasce subito un’istantanea sintonia e decidono di restare in contatto anche quando fanno ritorno nelle rispettive patrie.

Qualche mese dopo Bjorn trova nella cassetta delle lettere un invito da parte dei loro nuovi amici, che gli offrono ospitalità chiedendo di far loro visita per trascorrere qualche giorno all’insegna della spensieratezza, memore delle belle giornate vissute nel nostro Paese. Louise è maggiormente riluttante ad accettare ma infine si decide per la partenza in macchina, con il viaggio che si conclude per l’appunto nell’isolata dimora di campagna di Patrick e Karin. Ma sin dal loro arrivo gli ospiti cominceranno a notare degli strani comportamenti da parte dei padroni di casa.

Speak No Evil: fiducia mal riposta – la recensione

La potenza di un film come Speak No Evil sta tutta nel demolire le aspettative dello spettatore, nel trascinarlo sempre più a fondo in un incubo senza tregua che si sviluppa in maniera progressiva e organica, fino a quell’epilogo duro e crudo che non si dimentica e che potrebbe sconvolgere gli stomaci più deboli. Mentre nelle sale il pubblico può assistere al remake hollywoodiano dall’omonimo titolo, con protagonista James McAvoy, abbiamo deciso di accompagnarvi a scoprire l’originale danese, disponibile sia nel catalogo di Amazon Prime Video che di RaiPlay.

Un thriller che si tinge progressivamente di atmosfere horror, tra presunti sussulti sovrannaturali e una violenza terrena che non lascia scampo, all’insegna di quella banalità del Male che fa emergere i lati più oscuri dell’anima proprio laddove uno meno se l’aspetta. La sceneggiatura certo fa affidamento su una certa imprudenza da parte dei protagonisti, che anche quando si accorgono che qualcosa non va sono sempre pronti a offrire una nuova opportunità: insomma, fidarsi è bene ma non fidarsi sarebbe meglio.

Non aprite quella porta

La storia è portata a innescare un disagio crescente e lo spettatore si trova a identificarsi nelle potenziali vittime, messe di fronte a situazioni scomode in molteplici occasioni: basti pensare a Louise, che da vegetariana si vede offrire insistentemente la carne in più occasioni, o ancora a Patrick che guida ubriaco e con la musica a palla mettendo a rischio l’incolumità di tutti. Ma il mistero vero e proprio si concentra sulla figura del piccolo Abel, la cui presenza e la relativa patologia si riveleranno poi determinanti nel colpo di scena finale che conclama definitivamente l’infamia in corso.

Tutta una questione di potere e di concessioni nella gestione delle due parti in causa, con quelle urla liberatorie in mezzo al nulla che appaiono come una sorta di ignaro ultimo desiderio prima della drammatica resa dei conti, dove i nodi vengono al pettine nel più brutale e sanguinoso dei modi. Con lo scoglio linguistico quale barriera ed elemento chiave nell’interazione tra queste due coppie, che si ritrovano a comunicare tramite la comune conoscenza dell’inglese salvo nascondere quando di dovere, Speak No Evil affronta con una ferocia satirica i pregiudizi di un contemporaneo dove si finisce per dar tutto per scontato, senza tener conto delle conseguenze.

Conclusioni finali

Due coppie apparentemente simili tra loro, con prole a carico, si ritrovano tempo dopo il loro primo incontro. Gli olandesi Patrick e Karin invitano nella loro remota dimora i danesi Bjorn e Agnes, per quello che dovrebbe essere un weekend all’insegna del divertimento. O almeno così gli ignari ospiti credevano.

Con il remake attualmente nei cinema, l’occasione è quella giusta per riscoprire l’originale Speak No Evil, un thriller che scivola gradualmente nel puro orrore trascinandoci in una storia di bugie e ancora bugie, dove la passività diventa elemento autodistruttivo di fronte al crudo oltranzismo di un Male senza compromessi. La crescente tensione vive in questa incomunicabilità non solo linguistica tra i due nuclei e offre al regista e sceneggiatore Christian Tafdrup il mezzo ideale per ricalcare le controversie di una società dove si è spesso vittime di se stessi e dei propri sbagli.

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