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Sound of Metal, la recensione (senza spoiler) del film in streaming su Prime Video

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Sound of Metal, film diretto dall’esordiente Darius Marder e in streaming su Prime Video, incentra la sua storia su un batterista di musica metal costretto a misurarsi con la sordità. Per il protagonista, un meraviglioso e commovente Riz Ahmed, il suono e il rumore sono l’unica costante a cui aggrapparsi. Il loro venire meno segna i rintocchi di un percorso di accompagnamento all’abbandono di una vita vissuta e oramai sempre più lontana, nello spazio e nel tempo. Presentato in anteprima al Toronto International Film Festival del 2019, l’opera scritta dallo stesso Marder assieme al fratello Abraham (per la quale sono stati candidati agli Oscar per la miglior sceneggiatura) è una produzione intima e agrodolce,

La recensione di “Sound of Metal”

Quando Sound of Metal sottrae al musicista Ruben la capacità dell’udito, compie uno strappo utile ad aprire una riflessione di portata più ampia. Si avvale soprattutto del suo protagonista, nei cui panni si cala un Ahmed qui alla sua prova attoriale più intensa e struggente. Ed è sul suo corpo, modellato come creta nella tensione muscolare e nervosa, che si riflette il lavoro maggiore compiuto dall’attore. La sua performance è disossata e ridotta ai minimi termini, che alla progressiva perdita delle capacità uditive si fa accorta e si affida alla gestualità e alla prossemica, unica fonte di comunicazione con l’altro.

Il suo sguardo, con cui scruta dagli immensi occhi marroni, rifunzionalizza l’aspetto ruvido e ribelle di Ruben. Ora è come un bambino in un mondo da ricostruire e riconoscere da zero, partendo dalle unità primarie. Dalle vibrazioni sonore che sono l’ultimo e perzioso lascito di una carriera oramai collassata su se stessa, fino a un intero linguaggio, quello dei segni, da imparare e assorbire con l’aiuto di una comunità che cura più le cicatrici della mente che quelle del fisico. Uno spazio, questo, essenziale e distanziato dal clangore urbano, luogo franco dove Marder ragiona anche su una società ipocrita che abbandona persino il modello ideale del suo stesso cittadino – il mentore del gruppo è infatti un veterano del Vietnam che non può permettersi l’impianto uditivo perché costoso e non coperto da assicurazione.

In questo posto non c’è nulla al quale porre davvero rimedio. Il passo da compiere è quello dell’accettazione di un nuovo stato dell’essere, una realtà dove depurarsi dalla contaminazione di quel suono del metallo che pare quindi guardare alla frenesia, all’ostilità corrosiva della città, della metropoli e delle geometrie di cemento che ospitano creature oramai del tutto differenti dal protagonista.

La nostra opinione su Sound of Metal

Questo processo è comunque dilaniante, coinvolge anche la compagna di vita Lou (Olivia Cooke) ed è una sfida all’apparenza insormontabile che costringe Ruben a ripensare a tutto il proprio mondo e a trovare un modo per colmare quel silenzio che diventa anche metaforico. Quando la sceneggiatura decide di imboccare una svolta dura, netta che ha l’aspetto di una cacciata dall’Eden, il personaggio di Ahmed si è a questo punto spogliato praticamente di tutto nel tentativo di restare aggrappato a una possibilità che pare essere tagliata via. Un po’ come come lui stesso taglia via la sua capigliatura biondo ossigenata, ultimo vessillo della sua vita da rocker.

Non rimane altro che una sospensione nel mezzo di due realtà. Da una parte un passato sempre più distante, dall’altra un futuro che vorrebbe disperatamente somigliare a quel che c’era prima. Mentre fuori, negli ultimi bellissimi istanti di Sound of Metal, imperversano suoni infernali che forse è bene lasciar scivolare per sempre nel silenzio.

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