Serena Bortone al BCT Festival: “Il coraggio è uno strumento della propria libertà. Da adolescente non mi riconoscevo in un certo classismo” – Intervista video

SERENA BORTONE

Serena Bortone è stata una degli ospiti più attesi del BCT, il Festival del Cinema e della televisione. La conduttrice tv e giornalista ha scritto un libro autobiografico dal titolo ‘A te vicino, così dolce‘. Negli ultimi mesi si è molto parlato di lei dopo la sua decisione di leggere in diretta il monologo di Antonio Scurati, vediamo insieme cosa ci ha rivelato su chi sono le persone coraggiose e sul suo libro.

Intervista alla giornalista e conduttrice tv Serena Bortone

Il popolo dei social l’ha definita una donna coraggiosa, si rivede in questa definizione. La rispecchia?

“Siamo tutti coraggiosi a nostro modo, o meglio tutti dobbiamo esserlo. Io penso che le persone coraggiose siano quelle che affrontano il quotidiano complicato, che hanno dei figli da tirar su che possono avere dei problemi. Il coraggio è uno strumento di esercizio della propria libertà e consapevolezza e si ha tanto più coraggio quando si affrontano le piccole sfide del quotidiano”.

Il suo libro, ‘A te vicino, così dolce’, parla di libertà. Ci racconti qualcosa in più del contenuto?

“Questo romanzo è una storia che ho realmente vissuto nella mia adolescenza, anche se non è propriamente un’autobiografia. È il racconto di due adolescenti in crescita negli splendidi, folgoranti, futili e divertenti anni ’80 nei quali la libertà sembrava a portata di mano ma in realtà c’era anche molto perbenismo. La mia adolescenza è stata in un ambiente medio borghese, danaroso, facoltoso, in una scuola privata del quale non del tutto mi riconoscevo. Non mi riconoscevo in alcune ipocrisie e in un certo classismo. Poi viene una terza persona, un ragazzo che si fidanza con la mia migliore amica, che ha un segreto e viene svelato nel corso della storia. Mi divertiva e mi appassionava di dover raccontare l’adolescenza che è una fase complessa e importantissima di tutte le esistenze di qualunque epoca”.

“Così come volevo raccontare la storia di Paolo, un ragazzo transgender che negli anni ’80 non era visibile. Attraverso il suo percorso di riconoscimento della propria identità di genere, della necessità di trovare il proprio posto nel mondo, ci siamo un po’ tutti. Tutti noi cerchiamo di essere autentici ma per qualcuno l’autenticità è un po’ più complicata. Per un ragazzo transgender negli anni ’80 era quasi impossibile quindi lo dovevo a lui questo racconto”.

Se dovesse scrivere un libro sulla sua vita, quale parte le piacerebbe raccontare?

“Quella che deve ancora arrivare”.

Cosa si augura per il futuro?

“Sai che non mi auguro cose. C’è una frase molto bella che è di Truman Capote che cita Santa Teresa d’Avila e dice: “Si versano più lacrime sulle preghiere esaudite che su quelle inascoltate”. Volersi finalizzare a qualcosa che verrà e investire la nostra vita nell’attesa della realizzazione di un sogno, di un desiderio, può essere molto pericoloso. Preferisco invece godermi istante per istante quello che avviene, reagire a quello che mi capita, inventarmi. È tutto molto nel quotidiano perché in questa solidità trovo che risieda la migliore possibilità di godersi questa nostra fugare, brillante, e talvolta crudele esistenza. Purtroppo troppo breve, spesso”.

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