Real Steel, la recensione (no spoiler) dello sci-fi sportivo

Real Steel

In un immediato futuro gli incontri di pugilato non vengono più combattuti tra gli esseri umani ma bensì tra giganteschi robot, comandati dai loro tecnici / proprietari. Questo permette ai match di essere molto più violenti e spettacolari e di raggiungere un successo globale. Negli Stati Uniti il torneo più famoso è seguito da milioni e milioni di persone in diretta televisiva e il sogno di tutti i concorrenti è prima o poi di arrivare su quel ring per sfidare il pluripremiato e imbattibile campione, il robot Zeus.

Charlie Kenton è un ex pugile che per guadagnarsi da vivere fa combattere automi scassati in campionati minori ed è pieno di debiti. Un giorno viene a sapere della morte dell’ex moglie e si ritrova a prendersi cura, seppur per un periodo limitato, del figlio di undici anni a lui completamente estraneo. Insieme i due recuperano un vecchio modello di robot e decidono di rimetterlo in sesto, ottenendo inaspettatamente una serie di successi che permetterà loro di trovare finalmente quel rapporto mai avuto.

Real Steel: insieme contro tutti – recensione (no spoiler)

La mano di Steven Spielberg in fase di produzione si vede tutta, con quell’atmosfera giocosa che si richiama a un immaginario anni Ottanta. Ma è difficile replicare il successo e le atmosfere di quell’iconico decennio e tranne rare eccezioni – vedasi Stranger Things ad esempio – il rischio è sempre quello di realizzare un omaggio nostalgico fine a se stesso.

Rischio non del tutto scampato da Real Steel, ambientato in un 2020 ormai passato e infarcito di una sana retorica a tema – con tutti i pro e i contro del caso – e con una storia basata sull’ottica di un riscatto pronto a fungere anche da collante familiare, nella pur tardiva evoluzione del legame tra questo ragazzino orfano di madre e quel padre mai conosciuto, pronto forse ad assumersi una volta per tutte le proprie responsabilità.

Ciak, azione!

Sin dal prologo nel quale veniamo trascinati subito nel vivo dell’azione, con l’improbabile combattimento tra un toro imbufalito e il rottamato robot del protagonista, si comprende l’impronta volutamente leggera impostata dal regista Shawn Levy, suo marchio di fabbrica d’altronde fin dall’iconica trilogia di Una notte al museo. Qui i toni sono più indirizzati verso il sorriso, nel tentativo di coniugare facili emozioni con quell’impianto estetico a prova di grande pubblico, con gli spettacolari scontri sul quadrato che rimangono d’altronde l’essenza culmine dell’operazione.

Ecco perciò che bisogna consciamente chiudere un occhio sulla caratterizzazione telefonata dei vari personaggi, pronti a prendere scelte stupide o intelligenti a seconda della convenienza narrative. Lo stesso cast, con Hugh Jackman quale novella figura paterna e il piccolo Dakota Goyo come veicolo di immedesimazione per gli spettatori più giovani, si adatta a uno stereotipo ricamato, tra citazioni ai classici del mondo pugilistico e non – Rocky (1976) docet, ma anche un altro film con Stallone ossia Over the top (1987) – e richiami all’immaginario televisivo di Robot Wars, programma degli anni Novanta incentrato sulle lotte tra robottini che avvengono realmente nei Paesi anglosassoni.

Il film è disponibile per tutti gli abbonati Netflix nel catalogo della piattaforma.

Conclusioni finali

Metallo che fracassa metallo ma senza troppi danni in un blockbuster per famiglie e a prova di grande pubblico. Real Steel è un film molto semplice nel suo assunto e relativa messa in scena, ovviamente prevedibile nei suoi risvolti narrativi ed emozionali e in grado di intercettare con facilità il target principale.

Certo qualche sfumatura in più non sarebbe guastata, con la retorica tipicamente hollywoodiana parzialmente nascosta dagli effetti speciali che ci mostrano le incessanti e rocambolesche lotte tra questi robot comandati, sempre e comunque, da cuore e mente umana, laddove la volontà può superare ogni ostacolo.

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