Patrick Melrose: recensione (no spoiler) della miniserie con Benedict Cumberbatch

Patrick Melrose

Patrick Melrose è una miniserie che non conosce quasi nessuno ed è un gran peccato. Un racconto basato sul ciclo narrativo di Edward St Aubyn dal titolo I Melrose, in cui lo scrittore riporta la sua vita dividendola in cinque volumi in cui racconta i suoi problemi famigliari, la dipendenza dall’alcol con successiva disintossicazione, fino al dover affrontare il matrimonio e la paternità. Un prodotto che vede come suo protagonista un Benedict Cumberbatch che, pur essendo sempre molto bravo, in Patrick Melrose è semplicemente impeccabile. Incredibilmente d’impatto così come la medesima miniserie. Ideata per l’occasione da David Nicholls e, proprio come i libri, composta da cinque puntate.

La trama di Patrick Melrose

La miniserie Patrick Melrose parte con la morte del padre del protagonista, che riaccende così nell’uomo dei demoni e dei ricordi che credeva di essere finalmente riuscito a controllare e seppellire. A nascondere nella parte più remota di sé, quella con cui si era giurato di non volersi più rapportare, ma la cui dipartita del genitore ha riaperto come uno squarcio, mettendo in pericoli i passi fatti in avanti dell’uomo. Un protagonista che ha vissuto un’infanzia in cui veniva abusato dal padre e ignorato dalla madre, che è dovuto crescere con un simile trauma, riversando da grande il proprio dolore nell’alcol. Un’esistenza che è stata per buona parte un incubo, quello che Patrick si ritroverà a rivivere ancora una volta a causa del padre.

Perché guardare Patrick Melrose

Come già accennato, con Patrick Melrose ci si ritrova probabilmente di fronte alla migliore interpretazione di Patrick Melrose. Merito di un attore che si percepisce aver compreso fin dentro le ossa la ferita del suo protagonista, l’averla vissuta seppur solamente vestendo i panni del suo personaggio, rendendola così autentica non sembrando mai esasperata o pietistica. È bensì il disagio attraversato nel corso degli anni dall’uomo che la serie, e l’interprete, costruiscono così bene da farlo provare anche allo spettatore. Il quale si ritrova a osservare da lontano quali possano essere i momenti che spezzano internamente una persona, condizionando per sempre la sua vita.

Un dolore che il creatore della serie David Nicholls va però contrapponendo a un’estetica meravigliosa, che entra in contrasto con la sofferenza interiore del protagonista. Una precisione e una cura che sono invece quelle assenti nell’infanzia di Patrick, la quale viene ripercorsa e processata, con tanto di conseguenze attraversate in età adulta dall’uomo. Un rendere partecipe di quel trauma privato anche gli spettatori, i quali rimangono scioccati dal contenuto, ma affascinanti dal contorno fatto di scenografia, inquadrature e luci. Anche di colori, quelli che invece sono stati sottratti proprio al giovane Patrick.

Un seguire un’esistenza che cerca in continuazione di rigenerarsi, a volte auto-distruggendosi per non dover più pensare, altre tentando di chiedere veramente aiuto. Una quasi autobiografia rivisitata e resa serie, portatrice di un enorme carico emotivo, il quale viene restituito tutto al pubblico, provato e affascinato dal risultato della miniserie.

Perché non guardare Patrick Melrose

Il carattere letterario di Patrick Melrose è determinante nella scrittura della serie, che non risulta certo verbosa o dalla trasposizione inadatta, ma presenta comunque molti guizzi legati alla narrativa. Dettaglio che potrebbe non convincere chi apprezza più una visione immediata, non una sceneggiatura particolarmente impegnata su cui concentrarsi troppo.

Come anche chi potrebbe non sentirsi a proprio agio nel vedere i personaggi confrontarsi con delle disgrazie così intime che possono realmente modificare il portato privato di una persona. Facendo soffrire anche lo spettatore, che magari non vuole farsi carico delle croci del protagonista di una serie tv.

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