Paolo Ruffini ospite al Giffoni Film Festival 2024 insieme ad alcuni ragazzi della comunità di San Patrignano, per presentare Sospesi, un film che racconta quattro storie, incentrate sull’amore per sé stessi, che è stato diretto e interpretato dai ragazzi di San Patrignano e realizzato all’interno della comunità nel progetto SanPa Cine Lab, laboratorio di cinematografia sperimentale che Ruffini dirige. La produzione è stata affidata a Vera Film e San Patrignano. Alla pellicola hanno preso parte numerosi protagonisti: ben 800. Noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato Ruffini e i ragazzi di San Patrignano e con loro abbiamo parlato dell’emozione di lavorare a questo progetto. Ecco cosa ci hanno raccontato i protagonisti del progetto sulle loro emozioni e i loro sogni. Sospesi diventerà una serie tv? Pare di sì. Nel frattempo il progetto ha restituito allo stesso Ruffini l’amore per questo mestiere.
Paolo Ruffini: l’intervista in esclusiva
Sei qui al Giffoni per presentare Sospesi, primo film realizzato dai ragazzi della comunità di San Patrignano, come è nata questa idea e cosa ti ha trasmesso?
L’idea nasce dal fatto che circa dieci anni fa sono entrato nella comunità e ho sentito una grande energia. Ho capito che era il luogo dove potevano accadere delle cose importanti, trasformando questa energia in combustibile per raccontare delle storie. Succede che dopo tanto tempo e tanta fatica, con la dirigenza della comunità, siamo riusciti a realizzare un laboratorio di cinema dove non sapevamo bene cosa potesse accadere, ma con l’obiettivo di realizzare un cortometraggio.
Il fatto è che questo cortometraggio alla fine ci è un po’ sfuggito di mano. Di solito si usa questo termine quando ci sfuggono di mano in male, invece ci è sfuggito di mano in bene. E’ nato un corto di 38 minuti, che noi chiamiamo comunque film, che racconta quattro storie d’amore incrociate e che parte dall’idea di “amore”, che è un concetto molto interessante e forse desueto. Oggi si parla un po’ dell’opposto, molto più facilmente che parlare d’amore. Parla di questo grande tema comune che dentro alla comunità è davvero molto accentuato cioè amare talmente tanto qualcun altro da insegnargli ad amare sé stesso. Questo è il grande tema, partire dall’amore per sé stessi.
L’amore per sé stessi vuol dire parlare di un amore che è assoluto. Non è un amore che si aspetta qualcosa in cambio. Non è l’amore che si aspetta restituzione. Non è che se sbaglio io non ti amo più. Non è che se tu mi ferisci, io non ti amo più. Si parla di quell’amore assoluto lì. Quello è l’amore che interessa al film. Tutto il resto è Temptation Island, che va benissimo e guardo volentieri, ma l’amore di cui si parla qui è una amore più spostato. E’ un amore che un ‘collega’ ha detto: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Questo è l’amore di cui hanno deciso di parlare le persone che hanno fatto parte di questo laboratorio e mi hanno insegnato tantissimo.
Come è stato lavorare con Paolo Ruffini a questo progetto e cosa vi è piaciuto di più?
Ragazzo: Lavorare con Paolo è stato bellissimo. Questo progetto ci ha fatto scoprire l’amore verso noi stessi e l’autostima, che un po’ avevamo perso. E’ stato molto emozionante e bello e ho riscoperto la voglia di mettermi in gioco.
Ragazza: Per me questo progetto è stato molto importante. Paolo ci ha fatto conoscere il cinema come una forma di espressione ed una forma di libertà. La libertà è qualcosa che noi stiamo cercando di ritrovare per noi stessi così come l’amore verso noi stessi. Ci ha dato uno strumento per esprimerci e sentirci liberi.
Paolo Ruffini: Hanno deciso di farlo in bianco e nero, molto neorealista … .
Ragazzo: La cosa bella è che davanti la macchina da presa puoi essere quello che vuoi
Ruffini: Se ti devo dire una delle cose più belle devo parlarti di un ricordo dell’inizio dei lavori. Le classi erano divise in due: pensatori ed attori. Io ho chiesto ad un ragazzo se volesse essere attore o pensatore e lui mi ha risposto attore. Quando gli ho chiesto perché lui mi ha detto che così almeno aveva la possibilità di interpretare qualcuno che aveva una dignità. Penso che il percorso che abbiamo fatto sia un percorso di conoscenza verso sé stessi e di amore e apprezzamento verso sé stessi. Io – non riesco a dirlo senza commuovermi – ma avevo la necessità intima di ritrovare l’amore per il cinema e per fare questo mestiere. Vedere delle persone che si dedicano con tanto amore e tanta passione ad allestire l’angolo del caffè, a tagliare i capelli, a fare anche i lavori più umili, la solidarietà, l’appoggio reciproco, tanto che i primi attori rimanevano sul set finché non finiva di girare anche l’ultima comparsa, mi ha dato un senso di: solidarietà, bellezza, amore per il lavoro che altrove non ho trovato. Non riesco a farti capire la meraviglia di questo.
Tutti quanti loro hanno questa maglietta che dietro porta la scritta: Meritiamocelo. Alla fine abbiamo dato a tutti un attestato di merito, anche alle comparse. Proprio le comparse alzavano questo attestato di merito quasi fosse un Oscar. Questo ti restituisce un senso di meraviglia verso ciò che si fa.
Il cinema è l’unico territorio al mondo dove tu puoi essere qualsiasi cosa, dove la possibilità è molto più alta della realtà e dove fondamentalmente hai la possibilità di non essere mai giudicato. Il tuo errore può diventare una risorsa. Visto che il tema del Giffoni è: “l’illusione nella distanza”, pensiamo che questo progetto è perfetto perché io non sento nessun tipo di distanza tra me e tra loro. Secondo me non c’è alcun tipo di distanza tra chi sta dentro e chi sta fuori perché tutti quanti abbiamo dei momenti in cui si cede, si inciampa ed è proprio l’amore per sé stessi che ci può far sollevare.
Ultima domanda sul futuro del film: potrebbe diventare una serie tv?
Lo diventerà! Ne siamo sicuri!
Intervista video a Paolo Ruffini