Paolo Ruffini, torna a teatro con due spettacoli: “DIN DON DOWN – Alla ricerca di (D)io” con la compagnia Mayor von Frinzus, e “BABYSITTER – Quando diventerai piccolo capirai”. Noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato Ruffini e con lui abbiamo parlato dei due spettacoli teatrali, manche di tv, ricordando il grande Corrado e molto altro.
Paolo Ruffini, Intervista
Paolo Ruffini, a teatro con due spettacoli: “DIN DON DOWN – Alla ricerca di (D)io” e “BABYSITTER – Quando diventerai piccolo capirai”: come nascono questi due spettacoli?
“Babysitter nasce da un format che ho realizzato per i social e che conduco da un anno. È caratterizzato da domande fatte ai bambini, domande però un po’ più filosofiche, estremamente divertenti che sono spaccato interessante che forse adesso è un po’ che ci manca e inoltre anche un’altra componente ci manca che è la fede: loro credono meravigliosamente a Babbo Natale a Dio e agli unicorni. Credono alle cose belle, noi non crediamo nemmeno più alla realtà. Anche se c’è un attentato ci domandiamo se sarà vero. Noi non crediamo nemmeno più quello che vediamo. È entusiasmante invece che i bambini sono veramente dei life coach, sono degli esseri umani bassi, sono delle persone un po’ più basse che riescono a risolvere le cose in maniera diversa”.
“Din Don Down invece nasce dal fatto che da dieci anno lavoro con la Compagnia Mayor Von Frinzius. È diventata prima uno spettacolo teatrale, poi siamo andati in tv con una versione televisiva Quest’anno abbiamo deciso di esplorare Dio con la D tra parentesi che a volte chissà se coincide, se Dio è dentro di noi, dentro l’io”.
Sul palco appunto, in Din Don Down insieme a te recitano i ragazzi della Compagnia Mayor Von Frinzius, come nasce questa collaborazione?
“Lamberto da più di trent’anni conduce un laboratorio più che di inclusione direi di contaminazione. La parola inclusione si usa tanto ma l’inclusività si otterrà soltanto quando non si sottolineerà più. Quando in un albergo a cinque stelle troveremo una persona bionda, una mora, una down, allora quella è la vera inclusione. Io credo molto in quello spettacolo. Non è uno spettacolo inclusivo necessariamente perché ci sono delle persone con disabilità. È uno spettacolo inclusivo come tutti gli altri. Ci sono delle particolarità in questo spettacolo perché ci sono attori molto particolari: ma sono particolari perché sono livornesi non perché sono disabili e questo rende un po’ tutto più particolare”.
“Ho imparato tante cose con questo spettacolo, come ad esempio il valore della lentezza. Mi interessa lavorare con persone che non incomincerebbero mai una guerra e non è poco. Io penso di essere un grande egoista, perché sono loro che fanno beneficenza a me. Loro vengono pagati, sono degli attori professionisti, anche lì non capisco perché se uno spettacolo ha degli attori down deve essere uno spettacolo di beneficenza. Tantissime famiglie vivono con persone con disabilità e quindi questo non significa essere speciali è una normalità e come tutte le cose vanno trattate come tutti quanti e non diversamente. Ovviamente ci vogliono degli aiuti maggiori ad esempio dal governo e chiunque ha voglia di fare qualcosa sul sociale”.
“L’altro giorno ero con una persona sulla sedia rotelle e a Milano ci sono delle piste ciclabili bellissime, ma trovo allucinante che ancor prima di pensare alle persone che vogliono andare in bicicletta non si pensi prima a quelle che vogliono solo camminare e se sono sulla sedia rotelle hanno bisogno che non ci siano barriere architettoniche. Io penserei prima a far camminare le persone e poi, quando tutti quanti camminiamo, pensiamo a chi vuole andare in bicicletta. In molte città ancora oggi chi è sulla sedia a rotelle fa fatica a spostarsi. Questo essere favore di qualcosa non significa essere a sfavore di un’altra. Una bellissima frase di Madre e Teresa di Calcutta dice: “Non invitatemi mai a una manifestazione contro la guerra perché non verrò, se mi invitate a una manifestazione a favore della pace sarò in prima fila”. Sembra sempre che se sei a favore di qualcuno, sei contro qualcun altro, io dico soltanto che mi piacerebbe avere un mondo dove tutti abbiamo gli stessi diritti. Io vado in monopattino, tu vai in bicicletta, un altro in deltaplano, l’indispensabile bisogna iniziare a distinguerlo dal piacere o dal sollazzo. Mi piace un mondo dove tutti hanno gli stessi diritti, almeno quelli indispensabili”.
Qual è il messaggio che i ragazzi hanno voluto dare con questo spettacolo?
“Penso che sia un messaggio di spiritualità interessante, loro hanno la necessità di essere normalizzati. Il film che abbiamo fatto ad esempio, nasce dal fatto che il mio collega Federico Parlanti mentre aveva la telecamera addosso puntata mi disse: “non ho capito perché mi riprendi sempre con la telecamera visto sono una persona normale come te”.
“Poi, quando si parla di Dio, loro hanno una visione che praticamente si sentono in una forma scintillante, meravigliosa, luccicante in riferimento alla parola di Dio, e credo che questo non dovrebbe destare o scuotere gli animi, perché siamo a immagine e somiglianza di quello in cui si crede e non è soltanto un’immagine, ma una perfezione. Vedi, la perfezione non sono io, non sei te. Oppure non sono solo io o non sei solo te: la perfezione sta anche nell’imperfezione. La cosa più sbagliata dell’intelligenza artificiale è proprio perché non sbaglia mai. L’essere umano sbaglia, Dio no, però forse chi l’ha detto che non sbagliare significhi essere perfetti”.
In Babysitter ti ritrovi ad essere alle prese con dei bambini che che ti vengono lasciati: potrebbe succedere durante un tuo spettacolo.
“C’è questa mamma che mi lascia i bambini per 90 minuti, proprio la durata dello spettacolo. Io cerco di farli parlare per cercare di carpire qualche insegnamento. Vedi noi abbiamo la meraviglia quando siamo bambini che poi crescendo perdiamo. Anche di questi tempi, quando ci capita di consegnare qualche regalo, quando si va negli ospedali pediatrici, io penso che non ci siano bambini brutti succede che diventando adulti ci imbruttiamo noi dentro. Anche i bambini che stanno facendo cure particolari o quelli che nascono diversamente da come li abbiamo immaginati, sono meravigliosi, noi diventiamo brutti dopo”.
“Ho incontrato un bambino un giorno mi disse che il nonno non c’era più guardano verso l’alto è come se loro vedesse ancora e mi raccontò: vedo il nonno che è legato a un filo invisibile al mio cuore è venuto ad aiutarmi con le lezioni di matematica. Quando gli chiedi la morte per te cos’è? Lui mi disse: niente. L’importante è l’amore. Vedi, tu non puoi decidere di non amare qualcuno, anche le persone che non sono più vive si continua ad amarle perché l’amore è infinito”.
Cosa vorresti che percepisse da questo show il pubblico e che portasse a casa?
“Spero che in entrambi gli spettacoli si possa portare a casa un po’ di fiducia, di speranza e un po’ di incanto. Un po’ di meraviglia e di fede. Anche il fatto di non avere paura e anche il credere in Dio e soprattutto nell’’io. La frase più ripetuta nella Bibbia e ‘non avere paura’, è ripetuto ben 365 volte, dovremmo dircela una volta al giorno”.
“Sant’Agostino diceva: ‘ama e fa ciò che vuoi’ se si uniscono le due cose, e anche il non avere paura, il nostro modo potrebbe essere più interessante. Ho letto tanto prima di fare Din Don Down, c’è un sacerdote, Don Francesco, dice che c’è una traduzione di ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ differente da quella che siamo abituati a pensare. Dice non è ama come te stesso ma ama il prossimo tuo perché è come te stesso o meglio ama il prossimo tuo perché è te esteso, è la continuità di te, la persona che trovi davanti a te non importa che abilità ha, non importa quanto ti somiglia, non è uguale a me né diversa da me è unica è come me, è un’estensione di me, è me”.
Sono due spettacoli entrambi prodotti da Vera: come è nata in te la passione di passare anche alla produzione teatrale?
“Ieri mi ha chiamato Claudio Cecchetto, che io trovo un mito assoluto. Abbiamo parlato proprio di questo. Diceva che come me non siamo persone invidiose, ma quindi godiamo del successo degli altri. Io quando vedo una persona sul palco e che comunque ho contribuito io affinché stesse sul palco, e posso posso farti tanti nomi, io godo tantissimo, mi piace anche stare sotto il palco ad aspettare di festeggiare con la bottiglia insieme. Questo vale per il cinema, il teatro e per altre forme d’arte, Andando in giro e lavorando negli anni, ho capito che forse uno di ruoli più complicati e più carenti è proprio la produzione. Quando penso alle cose più belle che ho visto, non mi vengono in mente solo i grandi registi, ma i grandi produttori. Vedi se tu hai un certo tipo di autorità produci non hai da preoccuparti del regalo da consegnare al pubblico, ma del fiocco“.
La TV ti manca? Cosa ti piacerebbe sperimentare in TV?
“La tv mi manca si! Mi manca anche un po’ quella TV, poi dirlo qua da voi, che siete SUPER, a maggior ragione. Quando tu hai un po’ di quella nostalgia, anche degli auguri di Natale di Mediaset, mi mancano i Telegatti, mi mancano tante dinamiche. Io so tutto il palinsesto di Canale 5 dell’88, se vuoi te lo snocciolo tutto. (Lo ha fatto). Io ho tatuato il grande Corrado col Telegatto, questa per me è la TV. Corrado è una delle persone più accoglienti e meravigliose del mondo, lui che era un grande artista, se tu ci fai caso non usciva dal dietro le quinte, usciva dal pubblico, in modo da arrivare dal popolo, dalla gente. Dava la mano a tutti, questa cosa non la dimenticherò mai, mi manca la TV, sia da spettatore che come protagonista, che comunque col COVID ha avuto uno scossone non da poco. Mi piace andare in diverse ospitate, mi ha invitato Amadeus, non è che non ci sono in tv, ci sono ma in attesa che ci possa essere qualcos’altro di attraente”.
C’è l’idea di portare anche non so in TV un vecchio format, magari qualcosa del caro Corrado?
“Io penso che Amadeus La Corrida l’abbia fatta meglio di tanti altri che l’hanno fatta prima di lui, penso che sia stato perfetto anche nel rispetto di certe liturgie. Quello è un format che insieme Il Pranzo è Servito, sono fantastici. Lui ha lasciato lo scettro a Claudio Lippi, Paolo Bonolis, poi bisogna interrogarsi se quel tipo di TV è ancora recepibile, se il pubblico ancora ha voglia di stare zitto, di stare buono. Una volta i riflettori e i microfoni erano puntati su chi stava sul palcoscenico e il pubblico era in silenzio, al buio. Oggi i microfoni sono puntati sul pubblico e molto spesso chi sta sul palcoscenico deve stare al buio e zitto e questo significa tanto, perché prima chi faceva questo mestiere non si interrogava così tanto, non aveva l’ansia di prestazione che abbiamo tutti noi ora. Quando magari il pubblico avrà anche la benevolenza di limitarsi un attimo di lasciarci un po’ più di libertà, di lasciarci anche sbagliare, io penso che ci saranno tanti prodotti in più. Ora c’è una grande forma limitazione. C’è una grande differenziazione, è molto tutto più complicato”.
Paolo la musica? Produttore teatrale perché non anche produttore musicale magari di un progetto speciale?
“Mi piacerebbe fare qualcosa di televisivo, mi piacerebbe continuare con quello che sto facendo sempre con cinema e televisione. Cerco di fare cose belle anche cercando di fare cose che possono aiutare le persone a migliorare la propria qualità del sorriso e migliorare la qualità dei sogni. In questo momento c’è così bisogno di sogni. Ci sono persone che si inventano problemi che a volte non hanno. Tornando ai bambini, una volta bimba giocava con una bambola rotta, era solo la testa di una bambola. Le chiesi se quello per lei era un problema, mi disse che era un problema grande, ma che era felice senza risolverlo e che avrei capito quando sarei diventato piccolo. Questo è dove il sottotitolo dello spettacolo”.
Progetti?
“Ci sarà qualche ospitata in tv, c’è lo spettacolo Sapore di Mare, tratto proprio dal titolo del film dei Vanzina, e poi a febbraio esce un romanzo che condensa un po’ tutto quello che ti ho detto. Parla di un professore di sinistra molto politicizzato, ideologico, antifascista che un giorno gli capita di tornare a scuola e uno studente parlando di Benito Mussolini dice che ha fatto tante cose buone. Allora il professore lo butta fuori dalla classe. Il professore viene richiamato e declassato, va ad insegnare in una scuola elementare. Un giorno c’è un grandissimo temporale, il professore va a sbattere contro un uomo che veniva dalla parte opposta e questa botta in testa e il fulmine, lo porta a rialzarsi e a correre a scuola. Mentre è intento a fare l’appello legge il nome di un certo Benito, si alza un bambino di sette anni e dice presente. Il professore era tornato indietro nel tempo ed è diventato il maestro di Benito Mussolini. È un romanzo che si interroga sul valore, non è un romanzo politico ma è costruito sul valore dell’amore, dell’educazione e della fede e si chiama ‘Benito presente’”.