Massimiliano Rossi al Giffoni: “Chi vuole fare l’attore deve avere un atteggiamento stoico. Mi chiamano a fare i cattivi ma non saprò mai il loro vissuto”

Massimiliano Rossi al Giffoni

Massimiliano Rossi è stato uno dei mattatori della 54esima edizione del Festival di Giffoni. L’attore ha intrattenuto i tanti giovani presenti con un workshop in cui ha spiegato cosa vuol dire salire su un palco. Vediamo insieme cosa ha rivelato ai nostri microfoni.

Intervista all’attore e regista Massimiliano Rossi

Massimiliano Rossi è legato al ruolo di Zecchinetta in Gomorra ma negli anni sono numerosi i film che lo hanno visto come protagonista. Lui che nasce dal teatro, ha incontrato Edoardo De Angelis proprio durante uno spettacolo e da lì è nata la collaborazione con tante sue pellicole, da ‘Mozzarella Stories’ a ‘Comandante’.

Massimiliano Rossi ospite della 54esima edizione del Giffoni. Un consiglio da dare ai giovani che vogliono avvicinarsi al mondo del teatro e del cinema.

Mi verrebbe da dire: non accettate molti consigli, seguite quella voce interiore, quella fame che ti fa diventare un po’ insoddisfatto di quello che ti circonda e ti spinge a cercare poi tu da solo. I consigli sono sempre ben accetti quando sono fatti con il cuore. Quest’anno è la 54esima edizione del Giffoni, io ho 54 anni ed è come se io e il Giffoni siamo nati insieme. In 54 anni di vita posso dire ad un attore che vuole iniziare, di essere stoico. Bisogna avere un atteggiamento forte contro le botte che la vita ci restituisce. Non significa non avere momenti di scoramento, puoi anche disperarti però ad un certo punto di devi alzare a capire che o accetti e vai avanti.

Potrei dire nessuno è meglio di altri, non siamo anche peggiori di altri. Dio non ci ha dato il microfono quindi un attore deve rendersi conto che deve esprimere il proprio vissuto con la voce, avere la percezione del trapasso della tua personalità attraverso il nostro strumento e portare la propria storia, che non è quella degli altri. E quindi è unica, per quanto possa sembrare piccola e insignificante. A teatro o al cinema funziona questo: ognuno deve avere un proprio vissuto per incarnare anche quello degli altri. Bisogna avere il coraggio, senza microfono, solo con la voce che è lo strumento dell’attore, di portare la propria esperienza emotiva attraverso le parole di chi recitiamo.

Diciamo sempre che recitare per gli inglesi è play ma è bellissimo il nostro termine, l’italiano è una lingua morbida che deve avvolgere. Tu devi recitare non tanto quello che dice il personaggio ma quello che dice il poeta o lo scrittore. Devi inquadrare quell’aspetto emotivo e riprodurlo attraverso la tua esperienza personale.

Cosa ha preso e dato dai suoi ultimi tre personaggi che abbiamo visto al cinema: Comandante, Diabolik e La Chiocciola.

Ognuno di noi dà una spiegazione di questo processo. Io ho la sensazione di non dare niente, ho la sensazione di prendere perché è sempre riferibile ad un pensiero di qualcuno che ha ideato questo personaggio. Il nostro dovere è quello di strapparlo dalla fantasia e portarlo nella realtà quindi siamo noi, non possiamo essere più di quello che siamo. In qualche modo bisogna perdonarsi. In quanto il personaggio è frutto della fantasia di un altro essere umano, nella mia testa è sempre più largo di me perché è inimmaginabile nel prima e nel dopo dell’azione narrativa. Il prima e dopo di quell’uomo io non lo conoscerò mai, non potrò mai contenerlo. Spesso vengo chiamato a fare i cattivi, non è che li giustifico però non potrò mai capire da dove parte e dove finisce.

Per me è sempre una questione di sentirsi un po’ più piccoli dei personaggi perché la larghezza della loro immaginazione non corrisponde alla possibilità del contenuto della nostra esperienza corporea e fisica. È sempre un atteggiamento leggermente di soggezione e di rispetto anche se è un personaggio negativo. Potrò idearlo in un passato: diventi cattivo perché ti uccidono tutti a casa ma infondo non lo saprò mai. Se non è un personaggio storico non hai queste indicazioni nei testi.

Da fruitore di serie tv e cinema, che serie e titoli segue?

Non guardo molta televisione, né vado spesso al cinema perché vivo in un posto un po’ isolato. Quello che ho iniziato a vedere è stato un po’ il mercato spagnolo, le serie spagnole. Ho trovato dei bei prodotti. Poi forse proprio perché ho 54 anni e sto diventando un po’ nostalgico, mi piace la commedia italiana degli anni ’50, ’60, ’70. Così come il mondo cinematografico della Francia. Tendo a guardare le cose un po’ vecchie però le lego al fatto che abito in un posto che mi porta a stare un po’ isolato. Poi quando lavoro mi muovo e diventa tutto più difficile, anche gli orari sono complicati a cinema. Mi riprometto che la pensione la farà guardandomi i film.

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