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Let Go, la recensione del film drammatico (no spoiler)

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Al centro di Let Go vi è una famiglia disfunzionale. Stella, madre e moglie afflitta, è una casalinga; suo marito Gustav è scostante e non si prende mai le responsabilità di padre, nascondendo la relazione con un’altra donna; il piccolo Manne cerca di fare da collante, mentre la primogenita Anna è nel pieno dell’adolescenza. Proprio quest’ultima diventa elemento focale degli eventi a venire giacché intende partecipare a un torneo di pole dance, dove dovrà esibirsi in abiti discinti sul palco, di fronte a decine di spettatori.

Una situazione che metterebbe a disagio qualsiasi genitore e che crea ulteriori attriti tra le mura domestiche, evidenziando le idiosincrasie sempre più evidenti tra Stella e Gustav, che sembrano ormai destinati a un punto di non ritorno, tanto che lui chiede il divorzio. Lei glielo concederà soltanto a patto che trascorrano insieme quei giorni che precedono l’evento della primogenita e proprio in quell’arco di tempo verranno rivelati traumatici colpi di scena,che potrebbero cambiare nuovamente tutto.

Let Go, recensione: anima e corpo

Arriva dalla fredda Svezia questo dramma familiare nel quale con il procedere dei minuti si insinua un’atmosfera sempre più melodrammatica, con quella rivelazione che modifica lo status quo e spinge il pubblico stesso ad approcciarsi alla figura coinvolta in maniera ben diversa e più comprensiva. Una scelta facile nel tentativo di toccare le corde emotive, riuscita anche laddove si affida a una furba retorica a tema: d’altronde il titolo anglofono Let Go, traducibile letteralmente come Lascia andare, è già di per sé abbastanza esplicativo e spoileroso.

Lo sguardo femminile della regista e sceneggiatrice Josephine Bornebusch (che si ritaglia anche il ruolo principale di Stella) tratteggia con delicatezza il ritratto di una famiglia allo sfascio, pronta o a crollare definitivamente o a risorgere come un’araba fenice dalle proprie ceneri, in una girandola di sentimenti – tra gioie e dolori – che riesce a intrattenere con un certo appeal per la quasi totalità delle due ore di visione.

Nel cuore del dramma con Let Go

Pur facendo infatti i conti con alcune situazioni parzialmente stereotipate e con quel succitato elemento di trama che picchia duro, senza fare sconti e arrivando a toccare corde amare soprattutto in chi ha vissuto, direttamente e non, esperienze similari, Let Go regala un buon corollario di eventi e personaggi secondari, tali da dar vita a un contesto verosimile che aumenta ulteriormente l’immedesimazione da parte del pubblico.

Immedesimazione resa ancora maggiore dalle efficaci scelte di casting, con le facce giuste al posto giusto non soltanto nelle parti principali ma anche in quelle di contorno. Già detto della Bornebush, non è da meno Pål Sverre Hagen che dà vita a una figura sfaccettata e problematica, a tratti odiosa ma capace di evolvere nelle maglie di una narrazione che non dà niente per scontato e che anche nelle sue scontatezze riesce a essere sentita e credibile.

Conclusioni finali

La partecipazione della figlia a un torneo di pole-dance è l’occasione per una gita in famiglia che potrebbe anche essere l’ultima, giacché i genitori sono ai ferri corti da tempo e il divorzio è un’ipotesi più che concreta che si è già fatta largo, almeno per una delle due parti in causa. Ma quando l’altra rivela un drammatico segreto, niente sarà più come prima.

Disponibile nel catalogo di Netflix, Let Go è un dramma privato che non nasconde la propria retorica, ma anzi se ne fa forza con un’intelligente scavo psicologico, furbo ma avvolgente al contempo, che permette ai personaggi di maturare strada facendo e al pubblico di entrare in comunione con essi, tra malinconie e rimpianti.

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