Land, la recensione del film drammatico con Robin Wright

Land

In seguito a un’esperienza traumatica, Edee Holzer è in terapia e confessa al suo psichiatra che non riesce più a interagire con le persone che la circondano. La donna così prende una decisione radicale: lascia la città e si trasferisce nel Wyoming, dove acquista una piccola capanna isolata e decide di vivere in completa solitudine nel cuore della foresta, senza alcuna comodità moderna che la colleghi con il mondo esterno, sia questa un telefono o anche un’automobile con la quale poter raggiungere la comunità più vicina.

Edee ha un profondo lutto da affrontare e quei giorni, che diventano settimane e poi mesi, trascorsi in quel posto in mezzo al nulla, nella natura incontaminata così libera e magnifica ma anche pericolosa, sembrano ridare serenità a quell’animo tormentato. Fino a quando, dopo una situazione imprevista, non si trova a condividere la sua solitudine con quella di un’altra anima smarrita…

Land – Sola in mezzo al nulla: la recensione

Disponibile nel catalogo di Netflix, Land è un progetto fortemente voluto da Robin Wright, al punto che l’ha diretto e si è riservata il ruolo di assoluta protagonista. L’ormai ex-signora Penn ha preso in corso d’opera il posto della più anziana collega Jessica Lange, inizialmente scelta per il difficile ruolo, e non l’ha fatta affatto rimpiangere, sfoderando un’interpretazione intensa sulla quale si regge l’intero costrutto narrativo. Una donna afflitta da una tragedia inimmaginabile ricerca la pace in un luogo impervio, dove a farle compagnia è unicamente il mutare delle stagioni e quella flora e fauna ancora non toccate dalla furia umana.

Almeno fino a quella situazione, enunciata nella sinossi, che rimette in gioco questa scelta di isolamento forzato con l’arrivo di figure secondarie che si riveleranno fondamentali ai fini del percorso di liberatoria catarsi che Edee si troverà gioco-forza ad affrontare, nella speranza di far pace con se stessa e con i quei demoni che ancora la assillano senza tregua.

In cerca di pace

Una colonna sonora avvolgente accompagna quei lunghi silenzi che caratterizzano soprattutto il primo terzo di visione, con la magnificenza dei paesaggi ottimamente catturata dalla fotografia di Bobby Bukowski: set ideale, senza bisogno di accorgimenti, per questa vicenda così profondamente privata, che porta minuto dopo minuto il pubblico a identificarsi con il personaggio principale. Che si trova alle prese con estreme difficoltà date non soltanto dalla sua drastica decisione ma anche dal periglio di una vita allo stato brado, con tanto di famelici orsi che la pongono in ulteriore pericolo fino a quegli incontri potenzialmente salvifici.

Con il passato affidato a brevi ma incisivi flashback che scavano nella psiche perduta della protagonista, Land sa come gestire il lato emozionale, anche a costo di scadere in un paio di passaggi nelle maglie della più classica retorica, come in quell’epilogo che aggiunge ulteriore carne al fuoco nel percorso di rinascita che deve fare obbligatoriamente i conti con la morte stessa per potersi dire effettivamente compiuto.

Conclusioni finali

La protagonista di Land ha perso tutto ciò per cui secondo lei valeva la pena vivere e non vede altra soluzione di isolarsi da quel mondo che non sente più suo e ritirarsi a un’esistenza solitaria tra le foreste del Wyoming. Ma il destino ha in serbo per lei dei piani ben precisi e la Natura sarà testimone del suo viaggio alla riscoperta di se stessa.

Un dramma intimo e personale, struggente al punto giusto anche quando cede a soluzioni più furbe che necessarie, che sfrutta l’intensa performance di una Robin Wright che si è anche auto-diretta, nel film che segna il suo esordio dietro la macchina da presa. Un film forse non perfetto ma con tanto cuore, che svolge il suo compito emozionale con efficacia.

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