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La ruota del tempo, la recensione (no spoiler) della serie fantasy

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La ruota del tempo è un serie fantasy in streaming su Prime Video che si basa su un ciclo narrativo estremamente complesso. Narra della storia dietro l’attesa per il ritorno del Drago Rinato, un dedalo di racconti snocciolato nell’arco di più di vent’anni nei quattordici romanzi pensati e scritti da Robert Jordan, a eccezione degli ultimi tre che sono stati completati postumi da Brandon Sanderson. Sulla piattaforma di Amazon si è incaricato di adattare il racconto Rafe Lee Judkins, che oltre ad essere l’ideatore dello show è anche lo sceneggiatore degli episodi.

La trama de La ruota del tempo

In un mondo fantastico in cui la magia è qualcosa di molto raro e che viene chiamata Unico Potere, accessibile solo ad alcune donne molto temute da tutti gli altri, Moiraine Damodred (Rosamund Pike), appartenente alla potente organizzazione delle Aes Sedai, giunge al villaggio di Emond’s Field nei Fiumi Gemelli. La sua missione, e quella del custode che l’accompagna (Daniel Henney), è tanto semplice quanto fondamentale: con la minaccia incombente del possibile ritorno dell’Oscuro, o Tenebroso, incarnazione ciclica di un male destinato a inquinare il mondo, Moiraine deve intercettare un gruppo di quattro giovani all’interno del quale potrebbe esserci il nuovo Drago Rinato.

Facciamo così la conoscenza dei protagonisti della serie e di quel gruppo d’avventura che si prepara ad affrontare un viaggio che mai questi personaggi si sarebbero aspettati di dover intraprendere: Rand al’Thor (Josha Stradowski), Egwene (Madeleine Madden), Perrin (Marcus Rutherford), Mat (Barney Harris) e poi anche Nynaeve (Zoë Robins).

Perché guardare La ruota del tempo

La ruota del tempo si prende il suo tempo per cercare di farci entrare in testa il più possibile volti e nozioni vitali per renderci chiaro dove siamo e con chi abbiamo a che fare. Non è un compito affatto facile considerata la corposa quantità d’informazioni che bisogna veicolare un poco alla volta per non disorientare lo spettatore. La serie ci riesce non calcando troppo la mano e riuscendo comunque a imprimere chiaramente alcuni concetti portanti, come l’evidente centralità del ruolo della donna all’interno di questa narrazione.

La serie si comporta poi discretamente durante gli scontri e le schermaglie che si accumulano nel corso degli otto episodi (da circa un’ora l’uno). Lo sporco, il sudore e il sangue si incrosta con efficacia addosso ai protagonisti, aiutato da una discreta crudezza nella messa in scena della brutalità, posta in risalto anche da una gestione del trucco prostetico funzionale e che probabilmente emerge con più convinzione rispetto ai momenti in cui interviene la CGI.

La ruota del tempo assume infatti maggiore valore nei momenti in cui si muove tra paesaggi naturalistici e sfondi non ritoccati in digitale, che quando invece vedono entrare in campo l’utilizzo del ritocco computerizzato mostrano alcuni limiti di credibilità visiva.

La ruota del tempo, perché non guardare la serie

Ecco, se si possono trovare dei punti positivi nella capacità di gestire in maniera composta il racconto e in alcune espressioni del reparto tecnico più “materiale”, ne La ruota del tempo si possono però riscontrare problematiche legate alla capacità di potersi spingere fino a un certo punto.

Gli stessi volti dei protagonisti, sui quali ci si sofferma a lungo con dei primi piani per assicurarsi di imprimere il più possibile nella memoria chi sia chi, palesa un difetto di cui sembrano essere vittime le storie fantasy che vivono oggi sullo schermo (come, ad esempio, The Witcher), fatte spesso di volti limpidi, puliti e curati. Un fattore che si somma anche nel reparto legato ai costumi, che il più delle volte sembrano calati perfetti e intonsi addosso ai personaggi, quindi in totale contrasto con ogni minimo tentativo di contestualizzazione e con il buon lavoro evidenziato poco sopra.

Quello che La ruota del tempo sul lungo andare sembra scontare è il suo essere un po’ timida e convenzionale nel tipo di messa in scena che vuole proporre. Il fiato è corto e nonostante l’immaginario tutto sommato ci sia (in un paio di sequenze in particolare, come quella dell’inquisitore o quella dei sogni), la resa non sempre riesce a tenerci dentro la storia.

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