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Intervista a Filippo Tenti di Overland: “La vera solidarietà? Insegnare alla gente un mestiere: solo così sarà autonoma”

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22 anni, 18 spedizioni e quasi 500.000 km percorsi. Questo, a voler essere sintetici, è “Overland”, il docu-programma Rai di successo nato nel lontano 1995 da un progetto di Beppe Tenti.

Una vera e propria finestra sugli angoli più remoti, affascinanti e spesso pericolosi del nostro Pianeta è stata aperta, per noi, dalla carovana Overland, diventata famosa in tutto il mondo anche grazie agli iconici camion arancioni.

Quest’anno, il diario di bordo dell’omonima trasmissione si è arricchito di una nuova ed emozionante spedizione: dal 5 luglio 2017 è andato ed è tutt’ora in onda (in seconda serata su Rai Uno) “Overland 18 – Le strade dell’Islam”.

La 18esima spedizione della carovana arancione si concluderà nella prima serata di mercoledì 30 agosto 2017 su Rai Uno.

Non vi nascondo di essere estremamente emozionata al pensiero di poter intervistare chi, all’interno di questo programma, è cresciuto fino a prendere il timone delle spedizioni al fianco di suo padre.

Oggi, infatti, intervisterò per voi Filippo Tenti, CEO di Overland Network e capospedizione di Overland dal 2010.

Filippo Tenti, intervista in esclusiva

Ciao, Filippo. Tuo padre, il grande Beppe Tenti, ti ha permesso di vivere un’infanzia talmente avventurosa che Indiana Jones, a confronto, è un boyscout alle prime armi! Come ci si sente a crescere da vero cittadino del mondo, riempiendosi gli occhi di meraviglie?

Bellissimo! Da bambino, però, lo odiavo. Quando hai 5 anni e vieni portato in un monastero buddista, mentre tutti i tuoi amici se ne vanno al mare, pensi: “Ma cos’è ‘sta roba?!? Perché non sono anch’io al mare?”. A 5 anni è normale. Crescendo, ovviamente, si cambia. Adesso non posso che ringraziare mio padre ed essere incredibilmente contento di quello che mi ha fatto vivere fin da quando ero piccolo. Ci siamo sempre divertiti tantissimo in giro per il mondo.

Se ti chiedo di parlarmi del momento che più di ogni altro è rimasto indelebile nella tua memoria di giramondo, cosa mi rispondi?

Quello che ho vissuto quest’anno in Afghanistan non ha eguali. Attraversare una zona totalmente infestata da talebani e dover pensare ad uno stratagemma per uscirne vivi rimarrà per sempre nella mia memoria.

Siamo stati costretti a caricare, su camion guidati da pashtun (cittadini afghani di etnia principalmente talebana), i nostri veicoli arancioni, ricoprendoli TOTALMENTE di patatine fritte! In questo modo, se un talebano avesse aperto il portellone posteriore del camion, avrebbe visto solo un muro di patatine, non anche i nostri veicoli.

Peccato che, una volta arrivati alla base italiana del posto, i militari che ci hanno accolto hanno temuto che i pashtun avessero nascosto una bomba sul veicolo, instillando il dubbio anche nel nostro gruppo.

Quel momento, per la paura provata, rimarrà per sempre indelebile nella mia memoria.

Quando avevi all’incirca 10 anni, tuo padre guidò la prima spedizione di Overland: un viaggio incredibile che, per raggiungere New York via terra, partì da Roma, percorse l’Europa e la Russia ed attraversò lo stretto di Bering – ghiacciato! – per approdare in Canada! Che ricordi hai della prima avventura estrema che ha dato inizio a tutto quanto?

Ricordo di non aver accompagnato mio padre in quella spedizione, ma di averlo accolto direttamente a New York.

Dalle riprese del viaggio effettuate dalle telecamere Rai, infatti, si vede uno scricciolo biondo che corre incontro al padre per saltargli addosso. Ricordo l’immensa gioia provata nel rivederlo e nel poterlo finalmente riabbracciare.

Qual è l’insegnamento più importante che hai ricevuto da tuo padre durante le esperienze vissute in viaggio con Overland e, più in generale, nel corso di questi anni da esploratore?

Sapersi adattare, avere la mentalità aperta e non mollare mai. In qualsiasi situazione. Sia che qualcuno ti offra del cibo che tu non hai mai mangiato, sia che la pensi diversamente da te, bisogna accettare ed accogliere le usanze locali perché si è ospiti, ed il rispetto viene prima di tutto.

Nel corso di una spedizione, per esempio, siamo rimasti bloccati nel Sud-Ovest dell’Etiopia per oltre un mese a causa di acquazzoni talmente forti che nemmeno la popolazione locale era in grado di fronteggiarli. A memoria d’uomo, non s’era mai verificata una stagione delle piogge così intensa! Il ponte che avremmo dovuto attraversare non era praticabile, il traghetto era affondato.. insomma: abbiamo dovuto tracciare e percorrere una nuova strada.

Bloccati, senza acqua né cibo, costretti a proseguire a piedi per decine di chilometri per poi dover rinunciare e tornare indietro. Dormire di giorno e cercare di restare svegli di notte perché un branco di iene era pronto ad assalirci se avessimo abbassato la guardia. La notte erano talmente vicine che, puntando la torcia nel buio, si potevano vedere chiaramente i loro occhi famelici! Alla fine siamo riusciti a tirar fuori dal fango i vecchi musoni e siamo tornati indietro.

“L’importante – come dice sempre mio padre – non è fissare traguardi, ma raggiungerli”.

Molte persone giurano di essersi commosse – uno dei sintomi tipici della Sindrome di Stendhal – dinanzi a meraviglie della natura o ad opere d’arte di straordinaria bellezza. Nel corso dei tuoi viaggi, ti sei mai sentito sopraffatto da emozioni come questa?

Assolutamente sì: durante l’alba vista dalla vetta del Kilimangiaro. Ero a quasi 5.800 mt di altezza, in cima alla montagna più alta di tutta l’Africa. Davanti a me, una distesa infinita di nuvole che, dal basso, ha iniziato a colorarsi di rosa, arancione, rosso.. ..fino a che il sole non ha fatto capolino in lontananza. Poter assistere ad una simile esplosione di colori è STU-PEN-DO!!!

Un altro luogo che ha suscitato in me queste emozioni è il Delta dell’Okavango, in Botswana. Io adoro gli animali, trascorrerei giornate intere a fotografarli. Nel delta di questo fiume coabitano specie animali e vegetali di ogni tipo, dimensione e natura. Ecco perché credo sia uno dei posti più incredibili della Terra.

Per non parlare delle lagune colorate situate in un parco naturale a Sud-Ovest dell’altipiano della Bolivia: senza ombra di dubbio, una delle meraviglie naturali del nostro Pianeta.

A proposito di emozioni… Le vostre avventure sono sempre accompagnate dalle splendide musiche dell’autore e compositore Andrea Fedeli. C’è un suo brano, in particolare, che risentiresti senza mai stancarti (magari perché legato ad un viaggio indimenticabile)?

Concordo con te: Andrea è un professionista eccezionale, oltre che un amico. Ci mette l’anima nelle sue composizioni, e ciò che più mi piace di lui è che, grazie ad interminabili ricerche, inserisce sempre degli strumenti tipici che richiamano i luoghi in cui andiamo.

Un brano in particolare? “Uomini nella leggenda”, composto come intro per Overland 12. Mi è piaciuto a tal punto (senza dimenticare che è stato il brano più ascoltato su Spotify) che ho voluto a tutti i costi inserirlo in questa 18esima spedizione, sempre come intro ma editandola con un sound e degli strumenti che richiamassero il viaggio che avremmo affrontato.

Abbiamo deciso, inoltre, che ogni anno utilizzeremo questo brano nella colonna sonora di ogni spedizione. Un po’ come fa il team di ‘Mission Impossible’… (risata)!

Quando torni a casa dopo ogni spedizione, cosa ami fare più di ogni altra cosa?

Dormire e mangiare almeno per un paio di giorni! La stanchezza accumulata nel corso di ogni viaggio, per quanto mi riguarda, è allucinante: essendo a capo del team, sono responsabile dell’intero gruppo per vitto, alloggio e molto altro, quindi devo gestire varie situazioni.

Ecco perché si dorme poche ore a notte durante le spedizioni: tensione e adrenalina sono alle stelle. Il fisico, una volta tornati a casa, ha bisogno di ricaricare le pile.

Pensa che dopo Overland 12 ho dormito ininterrottamente per due giorni!

E poi mangiare: adoro mangiare tutto il cibo che le popolazioni da noi incontrate ci offrono. Però devo ammettere che come gli gnocchi, le lasagne o la pizza (esclamazione all’unisono) non c’è niente!!

Se esiste, c’è un luogo che non hai ancora visto e che muori dalla voglia di visitare?

Ovviamente sì! Un posto che sono impaziente di visitare è la Groenlandia o il Canada per vedere l’aurora boreale con i camion e le slitte, dormendo in igloo. Credo che mio padre sia stato uno dei primi a promuovere questo genere di viaggio, portando il turismo italiano in Canada. Ascoltando i suoi racconti me ne sono innamorato: spero di riuscire quanto prima a colmare questa mia lacuna!

Immagina che la redazione di Overland ti dia carta bianca e ti chieda di pianificare il tuo personale itinerario di viaggio per la prossima spedizione. Dove porteresti l’intera squadra ed i telespettatori? E quale sarebbe il fil rouge da te suggerito?

Per mia fortuna, ho sempre carta bianca: decido io il dove, il come e il quando. Ovviamente tenendo in considerazione sia i voleri della Rai che l’incolumità dei miei compagni di viaggio. All’immaginazione non c’è limite: a tutto il resto, invece, sì.

Ora come ora, vi porterei in Yemen per mostrare non solo la magnificenza dei paesaggi ma anche una guerra che il resto del mondo pare aver dimenticato. Lo Yemen è uno dei luoghi più caldi del Pianeta, ma nessuno ne parla: mi piacerebbe moltissimo andare lì e poter raccontare quello che sta accadendo.

Poi c’è l’Antartide (un progetto che abbiamo in cantiere da un po’), pur essendo abbastanza difficile da organizzare, considerati i veicoli che andrebbero impiegati per raggiungerla (gatti della neve o mezzi con ruote gommate). Però è uno di quei viaggi ‘già programmati’.

C’è stato chi ha suggerito, come méta della nostra prossima spedizione, la Corea del Nord. “… Ma anche no!”, mi son detto!!!

Come ‘nasce’, invece, ogni spedizione a bordo dei camion arancioni? Quali sono i preparativi che l’intero staff deve necessariamente curare prima di partire? Permessi, preparazione, equipaggiamento…

Beh, prima di ogni altra cosa, si cercano gli sponsor. Lo staff di Overland ha la fortuna di avere alle spalle il palinsesto Rai. Ma la crisi, purtroppo, ha colpito anche noi, quindi i budget pubblicitari per i programmi ‘speciali’ come il nostro sono calati drasticamente.

In passato è capitato che una parte del budget a disposizione provenisse direttamente dalle nostre tasche grazie anche alla vendita sia dei DVD che a quella dei viaggi (un ringraziamento speciale al nostro tour operator!). Nell’epoca dello streaming e di Netflix, ciò che ci consente di stare in piedi è proprio quello.

Dopo questa parte (la più difficile, a mio parere), vien tutto il semplice: una volta trovati gli sponsor, i veicoli ed i permessi, il 90% del lavoro è stato fatto. Si parla con il team per vedere le disponibilità di ognuno (che dev’essere necessariamente totale) e la conciliabilità con il lavoro di ogni singolo membro dello staff. Poi ci si informa sui Paesi che si visiteranno nel corso della spedizione, si fa il conto dei giorni, si va al supermercato, si fa una bella spesona e si parte!

Guide, autisti, interpreti, cameramen… Ma quanti siete nella carovana arancione?!? Come si è evoluta la compagnia nel corso degli anni?

Siamo tanti, sì, ma non tanti quanti eravamo prima, quando viaggiavamo a bordo dei ‘musoni’ (camion). Ci sono stati degli anni in cui il nostro team era composto da 30 persone. Venuti meno i musoni, siamo riusciti a cavarcela anche con un numero inferiore. Una volta abbiamo viaggiato solo in 4, per dire. Ed in 4 facevamo il lavoro di 30.

Nella 18esima spedizione di Overland abbiamo raggiunto quota 10: tutti ‘veterani’, persone che, in un modo o nell’altro, avevano già partecipato alle precedenti edizioni. Tra di loro c’è anche il meccanico pazzesco venuto con noi nella spedizione africana, la stessa in cui abbiamo incontrato le difficoltà di cui ti parlavo prima. E poi pompieri, carabinieri e cameraman esperti nel campo dei documentari.

C’è posto, nel vostro team, per una giornalista e storyteller in erba che vi segue da quando era bambina? Se la risposta è ‘sì’, mi candido seduta stante!

Beh, se vuoi sì! Noi diciamo di sì, poi sta alle persone prendere coraggio e partire con noi. Se si decide di partire a bordo dei camion arancioni, bisogna vivere la spedizione/esperienza dall’inizio alla fine.

Chi intende partecipare deve dare piena disponibilità per almeno 4 mesi, senza problemi e senza mettere a repentaglio il lavoro. Quando dico così, solitamente la gente si tira indietro ed esclama: “Sì, mi piacerebbe, ma…”. Se vuoi, vieni pure, però devi avere questo tempo a disposizione.

Overland 18, la spedizione 2017 di Filippo Tenti

Ok! Entriamo nel vivo dell’intervista parlando della spedizione di quest’anno: Overland18. Cosa vi ha portato a scegliere questo itinerario che, partendo dall’Italia, fa tappa in Austria, Repubblica Ceca, Polonia, Bielorussia, Ucraina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Afghanistan, Iran, Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Albania, Montenegro, Croazia e Slovenia?

Se devo essere sincero, inizialmente avevamo pensato di andare in India. Purtroppo abbiamo ricevuto alcuni documenti (necessari alla partenza) pochi mesi prima della spedizione: impossibile seguire quell’itinerario senza ritardare la messa in onda del programma.

Quindi ci siam detti: “Perché non trasformiamo l’itinerario e facciamo un altro tipo di Overland?”. Ecco com’è nata la 18esima spedizione, intitolata ‘Le strade dell’Islam’. Manco a farlo apposta, gli argomenti che riguardano i Paesi da noi scelti (guerra tra talebani ed Isis, immigrazione, terrorismo, etc.) sono temi caldi, affrontati sia dai media che dalla popolazione.

Volevamo mostrare i luoghi (Afghanistan, Siria, Iraq) dai quali arrivano i rifugiati, le stesse persone che, a detta di molti, ci stanno ‘invadendo’. Volevamo far vedere agli italiani come vivono, o meglio: come sopravvivono. Famiglie intere, senza che nessuno gliel’abbia chiesto, sono state coinvolte in una guerra che sta sgretolando il Paese che amano. Tentano di scappare da una situazione oramai insostenibile, ma il loro cuore è rimasto lì, nella loro terra di appartenenza.

Ben 4 delle puntate di questa spedizione sono state dedicate alla difficile terra dell’Afghanistan. Perché?

Beh, perché noi non creiamo una fiction: non abbiamo una scaletta predefinita. In un mondo come quello odierno, dove quasi tutto è studiato a tavolino, noi mostriamo una vera spedizione e mostriamo quel che ci capita. Se non si verifica nulla di emozionante, la puntata che mostreremo sarà ricca di storia e cultura del posto che stiamo visitando. Se ci capitano avvenimenti eccitanti, quella sarà la puntata saliente della stagione. Poi dipende anche dai gusti dei telespettatori: magari la puntata ricca di storia sarà noiosetta per chi preferisce l’azione o, al contrario, estremamente interessante per gli amanti dell’arte e delle culture degli altri popoli. Tutto quello che viene trasmesso in tv delle nostre spedizioni è senza filtri o censure. L’unica pianificazione, se vogliamo, è data dalla programmazione dell’itinerario.

Siamo rimasti così a lungo in Afghanistan perché, al momento di raggiungere la tappa successiva (il Pakistan), ci siamo trovati al centro di forti tensioni tra questi due Paesi. Una escalation di malumori provocata non solo dalla contesa di alcuni tratti del confine non delimitati (e quindi terra di nessuno) ma anche dalla famosa ‘madre di tutte le bombe’, sganciata da Trump proprio nella zona che dovevamo attraversare noi. Quell’avvenimento ha intensificato gli scontri tra talebani e pakistani, al punto da spingere le autorità di quest’ultimo Paese a non rilasciarci i permessi per entrare ed attraversare il loro territorio. Abbiamo dovuto attendere un mese prima di ottenere i visti per proseguire il viaggio verso l’Iran.

Indubbiamente abbiamo visto molte più cose di quelle che ci aspettavamo ed abbiamo intervistato il mondo intero: dallo studente che cerca in tutti i modi di andare all’università per diventare uno scrittore e tradurre i testi dall’inglese all’afghano alla madre rimasta vedova che deve lavorare per mantenere la famiglia. Col senno di poi, meno male che ci siam rimasti: abbiamo potuto raccontare molto più di quanto avremmo potuto immaginare.

Ipotizziamo che uno dei telegiornali italiani ti dia l’opportunità di realizzare un servizio per raccontare il vero volto dell’Afghanistan. Quali immagini, racconti e momenti inseriresti nel predetto servizio senza pensarci due volte?

La quotidianità dei cittadini afghani, senza dubbio.

Con ogni probabilità, siamo stati i primi occidentali a mostrare questo volto dell’Afghanistan: i militari, i giornalisti e tutti coloro che si recano in quei luoghi restano in ambienti blindati, dietro muri anti-bomba protetti da schiere di militari italiani (all’interno) ed afghani (all’esterno). Non vivono il vero Afghanistan, non vedono cosa c’è aldilà di quel muro. Le bombe, che esplodono un giorno sì e l’altro pure, le sentono soltanto dall’interno del loro recinto. Certo, quelle strutture sono sicure (anche se il rischio, ovviamente, c’è sempre), però quando queste persone leggono i bollettini di guerra, pensano che all’esterno ci sia solo il caos.

Ecco perché vorrei raccontare ai telespettatori italiani le storie di vita quotidiana della popolazione afghana. Voglio narrare, ad esempio, il dramma di una signora che un giorno si reca al mercato per comprare frutta e verdura e che, il giorno dopo, è costretta ad arrangiarsi perché quello stesso mercato è saltato in aria. Però lei ci va lo stesso, anche se c’è il rischio che non torni a casa, anche se rischia di morire a causa di un’altra bomba. La vita deve andare avanti e bisogna pur portare il pranzo in tavola.

Queste povere persone subiscono la guerra da oltre 20 anni: sono costretti ad arrangiarsi sperando di restare vivi.

A Kabul ci sono due attentati al giorno: pensa che i cittadini di questa città hanno creato un gruppo su Facebook, ‘Kabul Security now’, dove chiunque veda o senta un’esplosione lo comunica subito, così tutti sanno che bisogna stare alla larga da quel posto. Ci si aiuta a vicenda anche grazie ai social. Certo, stiamo parlando pur sempre di un Paese povero e sottosviluppato, ma non crediate che siano arretrati, anzi!

Questo è quello che vorrei mostrare attraverso i notiziari in un ipotetico servizio sull’Afghanistan: la costante ricerca della normalità nonostante anni e anni di guerre.

Assieme a questo, anche i paesaggi: i più belli ch’io abbia mai visto in Asia. I laghi di Band-e-Amir, collocati nell’unico parco naturale dell’Afghanistan (in mezzo al deserto), sono spettacolari: non esiste un panorama simile altrove!

Sempre più spesso, purtroppo, i notiziari riportano i comportamenti xenofobi di persone che vivono in molte zone d’Italia. Cittadini italiani che presidiano e protestano alle porte delle loro città per impedire l’accesso a uomini, donne e persino bambini in fuga da guerre e sofferenze. Molti Paesi attanagliati da tali conflitti li stai visitando proprio tu in queste settimane (con la 18esima edizione di Overland). Se potessi scambiare due parole con queste persone, cosa diresti loro, come se tu fossi seduto al bar tra amici?

Conoscendomi, cercherei di non alterarmi troppo e consiglierei loro di venire con me almeno una volta per vedere com’è realmente il mondo. Forse chi la pensa così non ha mai messo il naso al di fuori del proprio paese: se solo vedesse cosa c’è là fuori, se vedesse cosa sta succedendo a queste persone, forse cambierebbe idea. Non dico che bisogna lasciare porte e portoni spalancati, però se una persona si trova in difficoltà bisogna aiutarla come, in passato, siamo stati aiutati noi.

Quanti di noi, scappati verso gli Stati Uniti o la Germania, si sono integrati senza problemi? Perché pensate che ciò che sta accadendo in Italia (come gli sbarchi dei migranti) sia diverso?

Chi ci garantisce che resteremo indenni da conflitti, tracolli, o dal diventare cittadini del Terzo Mondo? Chi ci assicura che non saremo noi a dover chiedere aiuto o a scappare dal nostro Paese, come del resto è già accaduto in passato?

Con questo non voglio dire che bisogna aiutare solo gli immigrati o i rifugiati: ci sono tantissimi italiani che versano in condizioni davvero tragiche. Ma non si può nemmeno negare un aiuto a persone che rischiano di morire in mare: questo, davvero, lo reputo fuori da ogni logica!

Bisognerebbe cambiare il modo in cui si fa solidarietà: se si vuole risolvere davvero il problema dell’immigrazione, bisogna aiutare queste persone ancor prima che spendano tutti i loro risparmi per salire su un barcone (mettendo a repentaglio la loro vita). C’è gente che scappa da situazioni drammatiche che noi non riusciremmo nemmeno ad immaginare.

Bisogna accogliere tutte le persone, indipendentemente dal loro Paese di appartenenza.

Diverso, invece, il discorso di chi fugge per la povertà: in quel caso, forse, potrei capire la rabbia degli italiani che vivono situazioni analoghe agli stranieri. Il problema, ripeto, nasce da come si fa solidarietà.

L’ambasciatore afghano, nel corso di un’intervista, disse: “La solidarietà, al giorno d’oggi, viene fatta dando pesci alle popolazioni in difficoltà, non insegnando loro a pescare. Se tu insegni a pescare, la gente sarà autosufficiente e potrà costruirsi una vita. Quando dai loro solo il pesce, invece, la gente si abitua a mangiare, e poi non sarà in grado di fare altro se non chiederne ancora.”.

Se dai il cibo ad un animale, quello non sarà più in grado di cacciare. Lo stesso vale per le persone: se le abitui a ricevere, poi non sapranno più cavarsela da sole. Insegna loro dei mestieri: dai loro soldi con l’intento di creare un’attività commerciale. È la mentalità a dover cambiare: è più corretto aiutarli a casa loro e non stanziare fondi che, in fin dei conti, vengono impiegati solo per sfamarli.

Il 30 agosto 2017 verrà trasmessa – finalmente in prima serata su Rai Uno – l’ultima puntata di Overland18: tutti i temi analizzati in quest’ultima spedizione saranno racchiusi in 115 imperdibili minuti. C’è un momento di questo viaggio che ti ha segnato più di altri?

Sicuramente il trasferimento da Kabul, quello di cui parlavo prima (quello della bomba). Niente può essere paragonato a quel momento. E poi anche i bombardamenti a Kabul. Io ero sempre in fila per questi benedetti visti e, quando poi siamo partiti, ho scoperto che proprio in quel luogo era scoppiata una bomba che ha raso al suolo l’intera zona. Se fossi rimasto un solo giorno in più a far la fila, probabilmente oggi non sarei qui a raccontartelo. La tensione che ho vissuto lì mi segnerà, credo, a vita. L’Afghanistan è, in assoluto, il Paese che mi ha colpito di più.

Senza escludere la zona del Panjshir dove c’era il Massud, il famoso ‘Leone del Panjshir’. Un combattente mujahidin che ha lottato fino alla morte per contrastare prima l’Armata Rossa e poi i talebani. Da questi ultimi, purtroppo, è stato assassinato con i kamikaze due giorni prima dell’attentato alle Torri Gemelle: sapeva troppo e stava cercando di avvertire l’Occidente dell’imminente pericolo.

Conoscere, vedere e vivere la popolazione afghana e iraniana è stato davvero un dono: son persone così accoglienti, così cordiali… non credo abbiano mai visto uno straniero ad eccezione dei Russi (che si erano recati nella loro terra per invaderla). Essere ospitati da loro in quella maniera (ci hanno offerto cibo ed un luogo in cui dormire) ha reso il nostro soggiorno davvero indimenticabile.

Purtroppo non abbiamo potuto conoscere nemmeno una donna: gli uomini di alcune zone dell’Afghanistan non vedono di buon occhio, evidentemente, l’interazione tra le fanciulle e gli stranieri. Ne abbiamo viste alcune soltanto grazie ai droni: quando abbiamo sentito che stavano portando a pascolare un gregge a qualche chilometro da noi, nella vallata, abbiamo spedito il nostro drone-spia di nascosto per vederle.

Qual è il messaggio che Overland intende trasmettere ai telespettatori con questa 18esima spedizione?

Il messaggio? Che queste popolazioni, siano esse afghane, pakistane o iraniane, debbono essere aiutate: non stanno venendo in Italia per invaderci, strapparci il lavoro o renderci più poveri. Semplicemente, scappano da luoghi che anche noi abbiamo contribuito a rendere quello che sono adesso, ossia Paesi devastati da guerra e povertà.

Sono andato nella zona in cui stavano raccogliendo le mine, e la popolazione aveva realizzato una teca per esporre quelle già esplose: gran parte di quelle affisse erano italiane. Anche noi, quindi, abbiamo la nostra bella responsabilità. L’ospedale di Emergency a Kabul, ogni giorno, accoglie centinaia di persone senza uno o più arti perché una mina (magari italiana) gli è esplosa sotto i piedi.

Detto questo, non solo noi italiani non siamo innocenti, ma non vogliamo neanche dargli una mano? Eh no, non funziona così: abbiam contribuito a fare il danno e adesso paghiamo le conseguenze.

Aiutiamoli, e facciamolo adesso, perché tutto quello che loro desiderano è tornare a casa, in patria, dove hanno lasciato il cuore, e vivere serenamente la loro vita. Anche perché, ribadisco, se capitasse a noi, vorremmo lo stesso aiuto dagli altri.

Concludiamo quest’intervista con un’ultima domanda: hai già pensato al prossimo viaggio di Overland? Dove ti/ci porterà?

Tutte le volte che l’abbiam detto prima, non ci siamo più andati! Non so se porta sfiga dirlo con anticipo, però… (ride)! In teoria, dovremmo ritornare nella zona dell’India, quindi anche in Pakistan, Buthan, Sri Lanka, etc.

Quello è il piano che abbiamo adesso. Visto, però, che le cose da qui al momento della partenza cambiano sempre così tanto, posso dire che abbiamo già tanti viaggi già ‘programmati’.

Poi, ovviamente, analizziamo sempre la situazione geopolitica e ambientale della mèta prescelta: in base a quello e ad altre situazioni, noi ci adattiamo. Ci sono moltissimi luoghi che potreste vedere nel prossimo Overland, oltre all’India: per citarne alcuni, ad esempio, il Rio delle Amazzoni, l’Ovest dell’Africa.

Noi presentiamo vari progetti negli studi della Rai. Dopodiché partiamo. Sceglierne uno adesso con certezza, però, è ancora prematuro.

* * *

È proprio vero: visitare luoghi sconosciuti ed immergersi in culture straniere arricchisce non solo chi viaggia, ma anche chi ascolta i racconti del viaggiatore.

Se poi a raccontare le sue esperienze di viaggio è Filippo Tenti di Overland, beh, è un po’ come sentir parlare di musica il grande Gianni Morandi!

Continuo ancora adesso a ringraziare Filippo per la telefonata (81 minuti che son letteralmente volati!), rivelatasi, poi, una piacevolissima chiacchierata: mi son sentita come una vecchia amica che, non sentendolo da anni, è stata aggiornata sul suo ultimo, incredibile viaggio!

La voce di Filippo è estremamente espressiva: ci sono stati dei momenti, infatti, in cui ho realmente avvertito la sua emozione nel descrivere il calore della gente che lo ha accolto, il terrore che potesse esserci una bomba a bordo dei loro veicoli, ma, soprattutto, i paesaggi ed i luoghi che lo hanno stregato.

Per questo non vedo l’ora di godermi la visione della prossima puntata di Overland 18, in onda su Rai Uno martedì 29 agosto alle 23:45 e – UDITE! UDITE! – dell’ultima puntata di Overland 18, in onda mercoledì 30 agosto 2017 in prima serata su Rai Uno: le emozioni sono assicurate!

P.S. Filippo, sappi che ho realmente intenzione di scoprire se ho tutte le carte in regola per partire assieme a te ed alla mitica carovana arancione: dopo quello che mi hai raccontato, sono certa che sarebbe un’incredibile avventura!

photo credit: Stefania Donati – Overland.org.

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