Di recente la canzone “Ma quale idea” è tornata in cima alle classifiche musicali grazie anche al Festival di Sanremo di quest’anno e all’esibizione insieme ai Bnkr44 nella serata delle cover. A distanza di alcuni anni, il brano si è aggiudicato un altro Disco d’oro certificato dalla Fimi, il decimo aggiudicatosi dall’artista in giro per il mondo (gli altri 9 di quando, per ottenere il premio, serviva 1 milione di copie vendute). Un successo inarrestabile per Pino D’Angiò che nel 2003 aveva dovuto abbandonare il mondo della musica per problemi di salute. Il cantante ha dovuto superare sei operazioni alla gola, due tumori polmonari, una trombosi agli arti inferiori, un infarto e un arresto cardiaco.
Dallo scorso anno però Pino D’Angiò è tornato in pista e ha ripreso a partecipare ai tour. Tutte le sue date sono sold out e, con orgoglio fa notare come siano soprattutto i ragazzi ad accorrere ai suoi concerti. Noi di SuperGuida TV siamo stati accolti da Pino D’Angiò nella sua casa dove ci ha concesso in esclusiva un’intervista in cui ha tracciato un bilancio della sua carriera: dal Festival di Sanremo di quest’anno alla sua straordinaria carriera, ai suoi successi mondiali e all’amicizia con Gianni Morandi per passare poi al racconto della malattia. Un ritratto inedito e sorprendente in cui emerge anche e soprattutto il lato umano di Pino D’Angiò, un artista libero e controcorrente che ci ha regalato un grande insegnamento: ballare e cantare può essere un modo per celebrare la vita ed esorcizzare le difficoltà.
Intervista a Pino D’Angiò – Esclusiva
Pino, partiamo subito dall’esibizione al Festival di Sanremo con i Bnkr44 nella serata delle cover. Che emozione hai provato nel salire sul palco del Teatro Ariston?
“Onestamente non ho provato nessuna emozione. Faccio questo strampalato mestiere dal 1979 e sono ormai 45 anni di carriera. Ho sempre preso questo lavoro come un gioco e devo dire che anche stavolta mi sono divertito molto”.
Com’è nata questa collaborazione?
La collaborazione è nata dalla scelta contemporanea e dall’interesse di Amadeus per me e per la canzone “Ma quale idea” che è un pezzo di successo da 40 anni. I ragazzi del gruppo conoscevano la canzone e la canticchiavano ancora prima del Festival di Sanremo. Sono stato chiamato con mia grande sorpresa. Non me l’aspettavo proprio.
Prima del Festival di Sanremo, Amadeus l’aveva invitata ad Arena Suzuki.
“In quarant’anni tra tutti i vari direttori artistici che si sono avvicendati al Festival di Sanremo solo Amadeus si è accorto del mio successo all’estero e mi ha chiamato. Mi ha fatto piacere ovviamente”.
Nel 1989 però aveva sfiorato la partecipazione al Festival di Sanremo partecipando alla sezione Emergenti. In quel caso però finse uno svenimento. Come andò?
“All’epoca il direttore artistico del Festival di Sanremo mi chiamò per convincermi a gareggiare nella sezione Emergenti non essendoci posto tra i big. Lui era convinto che io potessi vincere. Il mio discografico fece però l’errore di dirmi che sarei stato eliminato ancora prima che mi esibissi. Pensai così di ritirarmi ma lui mi invitò a desistere altrimenti avrei creato un grosso problema alla casa discografica. Ho chiamato mia madre dicendole che qualsiasi cosa avrebbe visto accadere sul palco non sarebbe stato vero. Lei non capiva a cosa mi riferissi e continuava a chiedermi spiegazioni ma io cercai di tranquillizzarla. Quando poi mi ha visto svenire all’improvviso non si è preoccupata perché aveva capito. Il giorno successivo, l’organizzatore del Festival che aveva capito perfettamente che avevo finto lo svenimento, venne in albergo da me con un fotografo per immortalare il momento in cui era al mio capezzale”.
E in tutti questi anni non si è pentito di non aver partecipato al Festival di Sanremo?
“In tutti questi anni non ci ho neanche provato, non ho mai mandato un pezzo. Francamente dopo quattro successi mondiali chi me lo faceva fare? Ho fatto tour in tutto il mondo fino a quando non è arrivata la malattia e quattro brani sono diventati dei successi mondiali. Avevo bisogno del Festival di Sanremo? Ad oggi direi di no”.
Il brano “Ma quale idea” continua ad essere in cima alle classifiche. Quando ha capito che era diventato un cult?
“L’ho capito quando ero sull’aereo dell’Alitalia diretto verso il Sudamerica. Era il 1981. All’epoca tra le varie canzoni che la compagnia aerea aveva scelto per intrattenere i passeggeri c’era anche Ma quale idea. Quando ho sentito la canzone in volo ho pensato che quella canzone aveva segnato un punto di svolta importante. All’epoca ero uno studente di Medicina e mi divertivo a scrivere canzoni senza pensare che potessero diventare dei dischi. Era un modo per intrattenere gli amici e la ragazza dell’epoca. Mai avrei pensato che quei brani potessero trovare una platea così ampia”.
Che rapporto ha avuto con questo brano? E’ stata più una croce o una delizia?
“Ma quale idea mi ha regalato la notorietà in tutto il mondo e ringrazio il cielo di averla scritta. Ho anche doppiato nella mia carriera i film di Woody Allen, ho vinto un Grammy in America oltre che nove dischi d’oro. E’ successo davvero di tutto. Cosa mi chiede però la gente dalla mattina alla sera? Ma quale idea. Per una persona che ha costruito un palazzo di 50 piani, possibile che ti chiedono sempre la terza finestra a sinistra?”.
I suoi genitori come reagirono alla sua decisione di dedicarsi alla musica?
“Quando ho vinto il mio primo Disco d’Oro lo portai a casa e lo mostrai a mio padre. Lui lo guardò e mi disse “Ma quando ti trovi un lavoro?”. Questa frase continua ancora oggi a frullarmi in testa perché ho sempre considerato questo mestiere come un gioco. Alla fine, i successi e gli insuccessi sono situazioni contingenti del momento”.
Ha avuto una grande carriera. C’è qualcosa di cui va più orgoglioso?
La cosa di cui vado orgoglioso è quando Monica Vitti fece un video in cui cantava Ma chi è quello lì che è un brano che io avevo scritto per Mina. Era stata Mina a chiamarmi chiedendomi di scriverle una canzone. Io rimasi meravigliato. Mina per me era irraggiungibile oltre che divina e Monica Vitti una grande attrice italiana di cui ero fan. Vederle insieme fu qualcosa di irripetibile.
Rimpianti?
Di un artista la gente conosce i successi e non gli insuccessi. Mi è dispiaciuto tanto non fare Jago nell’Otello di Zeffirelli. Purtroppo non trovarono i capitali necessari e pertanto il progetto non trovò la luce. Questo è stato il mio più grande rammarico artistico.
Ci sono stati momenti bui?
“Ci sono stati momenti in cui la radio e la televisione in Italia non mi chiamavano mentre all’estero tutti mi cercavano. Il vero insuccesso non l’ho mai vissuto sulla mia pelle ma anche se ci fosse stato non me ne sarei preoccupato. Non ho mai voluto essere uno strafigo. Negli anni 80 molti mi dicevano che risultavo antipatico per la mia aria strafottente e io mi chiedevo come fosse possibile che le persone non capivano che la mia era solo una parodia del playboy”.
Lei era considerato un sex symbol però negli anni 80.
“Non mi sono mai accorto di essere un sex symbol. Qualcuno mi disse che ero belloccio e probabilmente era vero. Se lo avessi saputo prima che ero un sex symbol ne avrei approfittato”.
Però di recente, negli ultimi anni soprattutto su Instagram, molti giovani che non erano nati negli anni ’80 condividono video su Tik Tok di Quale Idea. Si tratta del video in cui lei compare con la giacca di pelle ed è tornato virale e ci sono questi tiktoker internazionali che commentano estasiati. Insomma vedono in quel video la rappresentazione del dandy italiano degli anni ’80. C’è questo sentimento al giorno d’oggi, anche da parte di chi non ha vissuto quegli anni?
“Ma certo perché il personaggio della canzone, a suo modo, è esplicativo del conquistatore, sex symbol ma il coro continua a dirgli che non è così, e la tizia non ci sta. Però tenga presente che all’estero non capiscono il testo della canzone, non sanno che è la storia di un perdente. Questo qui, il playboy di (???) non riesce a raccattare niente in questa discoteca, è la storia di uno sbruffone che crede essere chissà chi, ma non lo è. All’estero non lo capiscono e continuano a pensare che quel tizio con la sigaretta sia un grande conquistatore, un playboy, uno sciupafemmine come si diceva una volta. Poi, sono stato un sex symbol? Eh ragazzi, potevamo saperlo prima, pazienza, troppo tardi“.
Si dice spesso che nel mondo della musica ci sia molta competizione. Lei è riuscito a farsi degli amici veri?
“Sì. Devo dire che nell’ambiente musicale, ho conosciuto una percentuale di imbecilli fantasmagorica però mi sono tenuto degli amici, fra questi c’è Morandi che stimo da morire e credo di essere stimato da lui da morire, con cui ho condiviso anche alcune tragedie della mia vita e mi ha aiutato senza mai chiedermi niente in cambio, senza nessun interesse. È stata una persona che in un certo senso, in un momento particolare, mi ha anche salvato la vita. Sono stato e sono stato molto amico di Mogol, poi direi Paolo Belli e poi basta. Difficile trovare qualcun altro, ci saranno ma io non gli ho visti ma ci saranno sicuramente“.
Gianni Morandi gli ha salvato la vita in momenti drammatici, ci può raccontare qualcosa?
“Io ad un certo punto della mia vita, mi sono salvato. Le mie attività fondamentali erano la conduzione di programmi per la Rai, dove parlavo col microfono, e i concerti dove cantavo in un microfono. Ad un certo punto mi viene un tumore alla gola, sparisce la voce e non posso fare più trasmissioni, condurre programmi, cantare, fine dei concerti, fine di tutto. Ho un figlio all’università che costa tanto, ho delle problematiche famigliari, ho un mutuo di una casa e all’improvviso puff spariscono. Già era fallita la casa discografica con cui avevo fatto Ma quale idea, che di tutti i soldi del brano non mi aveva pagato niente, in più mi sparisce anche la voce. E mi ritrovo senza una lira e con un tumore. Non è una cosa divertente. Già essere senza una lira, non è una cosa divertente, con un figlio all’università che magari non riesce a finirla ma poi avere anche un tumore e sapere magari che tra sei mesi, un anno, non ci sei più e lasci tuo figlio e tua moglie nei debiti, peggio di così si può? E dato che io avevo sempre litigato con Gianni Morandi, nei ritiri della Nazionale cantanti era uno di quelli che litigava di più, e non so perché, davvero non so perché, forse anche per un fatto di stima, anche perché litigare con una persona non vuol dire che non la stimi, però fatto sta vado a chiamare l’unica persona con cui litigo sempre. Io stavo in una situazione veramente difficile: gli dico, potresti darmi una mano, ho bisogno di una certa cifra per far finire l’università a mio figlio e per tante altre cose che sono urgenti? E la cifra non era un gioco, era abbastanza pesante e Gianni non mi ha detto: come mai? Perché? Lui mi ha detto faccio un bonifico e te li vieni a prendere e per tre anni, perché ci ho messo tre anni a restituirglielo, e per tre anni lui non mi ha mai più parlato, mai più chiesti, non si è mai accennato a questo in nessun modo. E quando glieli ho portati, glielo ho portati in un modo un po’ particolare perché quando lui me li diede mi disse: magari non me li restituirei, perché tante volte ho prestato dei soldi e non me li hanno restituiti, se non me li restituire perché non ce la farai, vabbé pazienza. Un volta sola me li hanno riportati, così in bocca, come un cane e mi ha raccontato l’episodio. Allora quando gli ho restituito i soldi, ho bussato alla porta di Morandi sapendo che era solo in casa, e non c’era Anna la moglie. Lui è venuto ad aprire, come sapevo avrebbe fatto, e mi ha trovato in piedi con un assegno tra i denti, in bocca, come un cane e come lui mi aveva raccontato”.
L’esperienza della malattia cosa le ha insegnato? Cosa le ha lasciato?
“Un’ansia che non finisce mai perché si dice sempre aveva combattuto contro il cancro, sta combattendo contro il cancro, contro il cancro purtroppo non si combatte. Non esiste un combattimento, è tutto un blablabla, una retorica, purtroppo malattie come queste ti obbligano solamente ad aspettare e a sperare che tutto vada bene. A sperare che le cure funzionino, a sperare che tu c’è la faccia a salvarti, e a me è andata bene tante volte. Devo dire che quando ho avuto il primo tumore, perché ne ho avuti due alla gola e due polmonari, al primo ho pensato ma perché proprio a me, ma quando mi sono salvato, quando mi sono salvato, quando mi sono salvato, ho pensato ma perché proprio a me? È questo l’atteggiamento che hai verso la malattia, stai zitto, hai paura, e fai finto di fare il coraggioso a casa perché non vuoi che anche gli altri abbiamo paura. Perché la cosa peggiore è vedere la tua malattia negli occhi degli altri, perché tutti ti guardano in un altro modo, perché magari qualcuno ti fa qualche foto in più, perché magari tra sei mesi non ci sei più. Tante cose che risultano molto drammatiche, ma tu fai finta di non vederle. Però tu non vuoi che la gente soffra, la gente a cui tu vuoi bene soffra, perciò tu scherzi, stai allegro. Poi chiudi la porta la sera, spegni la luce, stai con gli occhi aperti al buio e aspetti. Questo è l’atteggiamento. Cosa mi ha insegnato la malattia? A sperare, un favore mi ha fatto la malattia, ho conosciuto tanta gente fantastica negli ospedali, contadini, un fabbro, un ingegnere, un ragazzo che lavorava in un’industria dove faceva lo yogurt, tante persone diverse tra loro. La gente che sta in un ospedale ridiventa sempre se stessa, dice sempre la verità, ti racconta delle storie che tu non potresti immaginare. Ecco io ho conosciuto più gente bella negli ospedali che fuori, questo forse è l’unico regalo che mi ha fatto la malattia e non è poco comunque. Perché si imparano tante cose, soprattutto si sentono, ma non con le orecchie. Si sentono cose diverse quando parli con persone che sono davvero se stesse, questo è un mondo dove bisogna apparire, poi bisogna avere la macchina più bella, il telefonino più bello, la casa più bella. Tutto questo crolla, finalmente, finisce questa scemenza e la gente la vedi per quella che è e molti sono persone straordinarie. Dietro la faccia di un fornaio per esempio, che ti può insegnare cose che nemmeno ti immaginavi. Questo è stato il regalo della malattia”.
E invece si è avvicinato alla fede, è cambiato il suo rapporto con la fede?
“Bella domanda. Io sono nato a Pompei, a Pompei c’è la Madonna e mia nonna, c’è un santuario e tutta una storia vaticano, ecclesiastico, religiosa, e mia nonna quando ero piccolo, quattro-cinque anni, mi portava in chiesa, mi teneva per mano e cantava le canzoni che si cantano in chiesa. Io mi ricordo che guardavo verso l’alto perché ero piccolo, piccolo e vedevo la gola di mia nonna che vibrava quando cantava Salve O Regina, ed era una cosa che mi impressionava tanto perché si muoveva tutta e rimanevo sorpreso. Poi chiaramente ho sempre pensato che, sembrerò pazzo, ognuno ha il proprio modo di credere, ci sono stati dei momenti in cui non ho creduto in Dio ma ho sempre creduto in quella Madonnina, perché mi conosce da quando sono nato, l’ho sempre vista, ci passo sempre quando torno a Pompei anche se non abito più lì. Per cui, sono religioso di questo tipo ma è la fede è importante. Quelli che hanno fede, quelli che ne hanno più di me, sono fortunati perché è più facile superare le sofferenze e i problemi per chi ha fede perché hai qualcosa a cui aggrapparti, se non hai fede è difficile riuscire a trovare qualcosa che ti tiri fuori dalla depressione e a tante cose che accadono“.
È un atto di fede anche tornare a Sanremo dopo questo calvario, nonostante tutto, nonostante tutte le operazioni, nonostante la voce abbia avuto dei danni e ballare sull’Ariston? La canzone dice balla e lei inizia a ballare.
“Quello è un modo di dire forse. Se vogliamo dirla tutta, Sanremo è stato a Febbraio e il 9 novembre del 2023, tre mesi prima di Sanremo, mi è stato tolto un polmone sinistro che non ho. Tre mesi prima di quel ballo sul palco, non mi hanno curato, mi hanno proprio aperto il torace e tolto un polmone che era pieno di tumori e mi hanno ricucito. Perché ballo a Sanremo sul palco? Perché mi viene, perché mi diverto, perché questo non cambia la vita, perché in quel momento c’è quella musica, c’è quell’atmosfera, stai cantando, vedi il pubblico che sorride, sta guardando te che è un enorme regalo salire sul palco e vedere due/tremila persone o centomila che ti guardano e sorridono. E ti metti a ballare perché fa parte di quello che fai nella vita, ma quale fortuna potevo avere io in questa mia esistenza, di essere pagato e di vivere una cosa che faccio, mi pagano ma io la farei gratis. Chi è che non vorrebbe salire su un palco e cantare con un pubblico che ti applaude? Chi è non vorrebbe stare a casa e vedere se stesso in televisione che sei andato a Sanremo, a Domenica In o all’Arena di Verona? Chi non vorrebbe accendere il cellulare e vedere che ci sono 70 video su di te? E ti pagano pure, ma più di questo che vuoi dalla vita? E allora perché balli, perché balli sul palco, e perché non dovresti. Perché ti hanno tolto un tumore, e vabbè sei stato stupido tu che fumavi, poi una cosa del genere ti può succedere anche se non fumi, ma io me lo sono andato proprio a cercare perché il personaggio era quello con la sigaretta, perché nella vita privata fumavo tanto. Chi è causa del suo mal, si diceva una volta, pianga se stesso“.
Quindi lei ha contribuito alla creazione del suo personaggio con l’elemento fumo, lo rifarebbe sapendo quello che è successo?
“Questa è una domanda micidiale. Le dico una riflessione che mi è venuta in ospedale, quando mi sono svegliato dall’anestesia, dopo che mi avevano tolto il polmone sinistro, mi sono accorto e c’era ancora l’anestesia e non provavo ancora dolore, mi sono detto: se dovessi rifumare, valeva la pena passare quello che ho passato adesso, che sono nel letto, pur di fumare questi 40 anni che ho fumato? La risposta che mi sono dato è stata una risposta veramente stupida, sì. Ma perché sono stato talmente fortunato da poterlo dire perché ero ancora vivo ma invece di essere così fortunato da sopravvivere fino ad oggi, se io fossi morto, non ne valeva più la pena. Quindi no, non ne vale la pena, non lo rifarei. In quel momento ho detto sì perché non capivo la cosa. È troppo facile dire sì perché sei vivo, no, non ne valeva la pena. Quindi stai zitto, me lo dico da solo”.
Ad oggi la morte la spaventa?
“Francamente no. Anzi, posso giurare di no. Perché con mia grande sorpresa, sia chiaro, ho fatto tutto quello che dovevo per mio padre e mia madre che purtroppo non ci sono più. Credo di essere stato un figlio, non di più, un buon figlio. Un buon padre, sono molto contento di mio figlio e di mia moglie, credo di essere stato un buon marito. Credo di essere stato un buon artista, che dovevo fare più? Non è che si può vivere in eterno, pensavo di morire a 60 anni, ne ho 72, vado a ballare sul palco, che vuoi? Che succede che puoi morire, vabbè tutti prima o poi devono morire. Anzi, io dovevo morire 10/8 anni fa, 6 anni fa, 5 anni fa, 7 mesi fa, stiamo ancora qui a parlare. Ti fa paura la morte? Ma prima o poi arriva, una volta ho detto una frase che la ripeto solo per voi: nella partita con la malattia, sette a zero sto vincendo io per adesso, ma alla fine vincerai là. Succederà, succederà“.
Lei ha fatto una scelta controcorrente, in un’epoca in sui social si condivide la malattia, lei ne ha parlato solo in un momento successivo. È stata una questione di pudore?
“Se mi permette di dirlo, è stata una questione di serietà. Non so se avete mai fatto caso a quanti film ci sono in cui i personaggi, serie tv hanno un tumore. Viene usato ormai come fattore spettacolo, ho un tumore guarda sto soffrendo, un giorno morirò, basta raga. Sono una cosa serie, c’è gente che muore tutti i giorni, ci sono famiglie che vengono distrutte da queste cose e invece viene usato come se fosse una cosa da esibire per fare spettacolo, nei film, nelle serie, in tv. Non lo so, a me non pare il caso poi ognuno fa quello che gli pare“.
Come ha partecipato le polemiche che ci sono state su Geolier, sul fatto della lingua napoletana?
“I fischi in sala io li capisco perché un ragazzo di 20 anni, 22 che canta in napoletano, quanti ragazzi c’erano in sala? Non c’è ne era nessuno, perché un biglietto per andare all’Ariston e sedersi costa talmente tanto che il pubblico era fatto da trentenni pochi, quarantenni/cinquantenni tanti, sono dei sessantenni che fischiano un ragazzo di 20 anni, non venivano dal pubblico dei dischi o delle canzoni, ma da quello dell’Ariston, che hanno pagato il biglietto e non erano quelli adatti al cantante che stavano fischiando. Quindi i fischi li capisco pure (???), che non vuol dire che li giustifico. Il fatto che ci sia la lingua napoletana? Napoli è una città che aggrega molto facilmente. Già per il fatto di poter dire sono napoletano, già stai simpatico ai napoletani perché li rappresenti. Cosa che non succede a Milano, se tu a Milano dici che sei milanese i milanesi se ne fregano, se dici che sei romano, i romani dicono ma che me ne frega a me? Siamo tanti. Ma se tu dici che sei napoletano, sei dei nostri, perché i napoletani sono stati sempre un po’ perseguitati, messi un po’ all’angolo, c’è stato sempre un certo razzismo vedi le partite del Napoli a Verona, gli striscioni. Quindi già se c’è un napoletano a Sanremo, i napoletani guardano a te che sei razzista, già una fetta di successo è giustifica. Se poi il pezzo è bello e viene apprezzato, hai un grande successo e stravinci. Mi puoi chiedere se mi piace l’artista e io ti dico sì o no, può anche non piacermi però non posso negare che lui ha un pubblico enorme, enorme immediatamente senza fare la fatica che deve fare un genovese, un milanese, un romano“.
In un’epoca in cui vanno tanto di moda i biopic, ha mai pensato di realizzare una serie tv sulla sua vita?
“A dir la verità è venuto un anno e mezzo fa un regista austriaco di origini che è venuto a girare un documentario, un documentario di 40 minuti credo. Mentre invece c’è un autore e giornalista italiano che mi ha proposto già due volte di fare un docu-film, non un documentario che è una cosa molto più lunga. Se ne stava parlando prima di entrare all’ospedale a fare l’operazione, prima di andare a Sanremo e di tutte queste cose, nessuno ci capisce più niente adesso. Tra un po’ si calmeranno le acque e si comincia a parlare, se ci arriverò, perché bisogna vedere per quanto tempo sarò ancora da questa parte. Se si fa questa cosa, credo ci vorrà ancora un anno, un anno e mezzo, insomma un paio d’anni. Bisogna fare i castelli (??), gli interni, il doppiaggio, proprio come fare un film. Quando tempo ci vorrà, quanto tempo ho, quanto tempo manca. Però tengo a dire una cosa, se qualcuno interpretasse me, nella vita vera, cioè la mia storia non sarebbe un personaggio molto allegro ma piuttosto riflessivo, mettiamola così, non voglio dire triste. Io sono contentissimo della vita che ho fatto, per carità, devo solo ringraziare il cielo, e credo di essere stato felice senza accorgermene perché la felicità, che è molto diversa dall’allegria è una cosa che dura un attimo, ti passa e non la vedi più, è successo e mi sono dimenticato. Mi è parso di essere felice, ma non me ne sono accorto. Quindi sono contentissimo della vita che ho fatto ed è stata molto bella soprattutto nei momenti bui, quando uno sta male, e quando stai male che ti accorgi che vivere è bello, solo allora. Quando stai bene e non ti manca niente, non hai bisogno di riflettere, anzi, ci sono trecento cose che ti distraggono, vai avanti e non sai perché. Mentre quando stai male, ci pensi bene prima di fare le cose e quando ci riesci è straordinario, e quando non ci riesci è straordinario lo stesso. La morte non è mai una soluzione, è il finale che ci tocca a tutti quanti ma non è mai la soluzione. L’alternativa non è tra l’esserci (??) e il non esserci, e il non esserci non significa niente perché sparisce la luce, la voce, i ricordi, le cose, le persone, non esiste che vuol dire? Non lo sappiamo, noi che esistiamo continuiamo a parlare della non esistenza e non sappiamo manco cosa è, la morte“.
Lei crede nell’aldilà?
“Non so come ma credo di sì, non ho la minima idea di come sia. Non credo ci sia San Pietro con la barba lunga lunga che mi aspetta con le chiavi in mano, questo non credo. Né credo purtroppo di poter incontrare mio padre e mia madre, magari. Ma credo ci sia qualcosa dall’altra parte, appena lo vedo vi faccio sapere”.
Intervista video integrale a Pino D’angio