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“Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883”, intervista al co-regista Francesco Ebbasta

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Venerdì 11 ottobre, su Sky e NOW, hanno debuttato i primi due episodi di “Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883”, una nuova serie televisiva che ripercorre la storia della celebre band. Un racconto di musica e amicizia, incentrato sul legame tra lo storico duo composto da Max Pezzali e Mauro Repetto, due ragazzi di Pavia che hanno fatto la storia del pop italiano. La serie è un coming of age che segue la loro amicizia dai banchi di scuola fino all’esordio musicale e al grande successo. Le loro canzoni hanno segnato intere generazioni, entusiaste di vederli sul palco. Per l’occasione, noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato Francesco Ebbasta, co-regista della serie.

“Hanno ucciso l’Uomo Ragno”: intervista al co-regista Francesco Ebbasta

Come è nato il progetto e la collaborazione con Sydney Sibilia e Alice Filippi?

Sono stato contattato due anni e mezzo fa da Groenlandia che mi ha proposto questa serie. In realtà, prima avevo anche già parlato con Matteo Rovere, che mi aveva presentato questo progetto molto ambizioso. Sono molto legato all’immaginario degli 883, non solo a livello personale, ma anche professionalmente. In passato infatti, con i The Jackal, abbiamo realizzato il corto ’30 anni’ con Max Pezzali come guest star, quindi mi sono sentito subito coinvolto nel progetto.

Francesco Ebbasta ha poi aggiunto che tra lui e Sydney si è creato un rapporto molto divertente, anche perché lui Sydney è salernitano e lui napoletano. “Mi ha raccontato tutta la storia, e mi ha colpito molto la complicità tra queste due persone così diverse: Mauro, con una personalità più eccentrica e chiacchierona, la miccia che spinge Max a fare le cose più pazze; e Max, più emotivo, nerd e pacato. Mi è sembrato che la serie stesse parlando di me e di Sydney, quindi abbiamo deciso di accettare questo viaggio insieme.

Poi è entrata Alice nel team, e si è subito creato un grande lavoro di squadra e complicità. Ci siamo divisi le puntate, lavorando insieme per capire quali episodi fossero più nelle corde dell’uno o dell’altro, poiché ognuno di noi ha una sensibilità diversa su certi aspetti. A me hanno assegnato l’episodio 5, 7, e il gran finale, che è venuto molto potente, esattamente come lo avevamo immaginato.

Nella conferenza stampa tenutasi a Milano, avete menzionato di aver consultato Max e Mauro su alcuni aspetti delle loro vite. Ci sono stati dettagli sul loro rapporto con la famiglia o dialoghi che vi hanno raccontato e che poi avete inserito nella serie? 

“Del lavoro di ricerca e scrittura si è occupato in modo estremamente preciso Francesco Agostini, ma anche lo stesso Sydney, Alice ed io abbiamo cercato di aggiungere delle note di colore agli episodidice il regista. “Alcuni dettagli sono basati non solo su fatti storici già noti, ma anche sull’autobiografia di Max. E anche alcune battute di Mauro, sono ispirate direttamente a sue dichiarazioni. Ho ascoltato tutti i podcast su Max Pezzali e ho scoperto cose che mi hanno subito ispirato per alcune scene. Ad esempio, il fatto che, a vent’anni, diventato miliardario, vivesse ancora con i genitori.”

Anche il rapporto con Max Pezzali è stato molto decisivo: Come racconta Ebbasta “Quando parli con Max, sembra davvero la persona più umile del mondo, quasi inconsapevole del suo successo. È stato molto disponibile e ci ha raccontato diversi aneddoti. Un momento incredibile è stato quando abbiamo ricostruito la sua cameretta sul set, e lui, vedendola, si è emozionato.”

C’è una scena che hai girato che è stata per te particolarmente emozionante? 

Senza fare spoiler, ma nell’episodio otto c’è una scena a cui sono molto legato, che rappresenta il climax emotivo dell’intera serie. Credo che proprio questa scena riassuma il motivo principale che mi ha spinto a lavorare su questo progetto.

Al di là della storia degli 883, mi sembra innanzitutto una storia che racconta di due amici che, all’interno del contesto provinciale, si alimentano a vicenda e riescono a imporsi sulla scena musicale italiana. All’epoca, la provincia era davvero una gabbia da cui era difficile uscire. I nostri idoli erano quelli che vedevamo in TV, sia nel cinema che nella musica. Questa potente storia di amicizia ha creato una leggenda che ancora oggi riempie gli stadi. In quella sequenza, secondo me, si raggiunge la consapevolezza da parte di entrambi che, insieme, possono fare la differenza.

Questo viaggio ha toccato le corde giuste. In qualche modo, io da regista mi sento anche un po’ attore: quando giro, se una storia non tocca le mie corde, difficilmente riesco a lavorarci. In questo caso è stato facile, perché, con le dovute proporzioni, conosco molto bene il contesto provinciale. Ho conosciuto i The Jackal lì, e so bene cosa significhi cercare di imporsi su scala nazionale partendo da un paesino.”

Come è stato girare con Elia e Matteo che fanno parte di una generazione differente rispetto a quella di Max e Mauro?

Il regista ha raccontato un aneddoto divertente accaduto sul set: “In conferenza stampa raccontai un aneddoto divertente su Matteo che, quando gli dissi di riavvolgere il nastro della cassetta, non aveva idea di cosa gli stessi dicendo. E poi abbiamo fatto questa inquadratura in cui si inserivamo una vhs nel registratore, e anche lì non aveva idea di cosa fosse.

Ma oltre la differenza generazionale e tecnologica, tra di loro si è creato un forte legame: “Si è creata una bellissima intesa tra me, Elia e Matteo. Ci siamo capiti subito, e li considero due talenti incredibili, ognuno con la sua sensibilità e note distintive. Il giorno precedente alla première eravamo in stanza con loro per caricarli e motivarli.”

Non mancano i complimenti per i lavoro eseguito dai due giovani protagonisti sul set:  “Hanno fatto un lavoro straordinario, sia a livello di preparazione tecnica che di studio dei personaggi. Sul set sembrava davvero di vedere Max e Mauro, hanno colto perfettamente la loro essenza. Hanno fatto anche un grande lavoro anche sul dialetto, visto che non sono di Pavia. Sul set avevamo una coach che correggeva le piccole inflessioni provinciali, e ci ha dato un grande mano. Si è creato subito quel dialogo costruttivo che cerco sempre di instaurare con gli attori. Ci vedevamo anche la sera per provare le scene. Sydney, come showrunner, è stato molto collaborativo: qualunque suggerimento venisse fatto, che fosse una location o una scena da integrare, o dettagli che mi sembrava potessero arricchire la puntata, venivano sempre accolte.”

Hai un ricordo della tua vita che colleghi agli 883? E che ruolo la musica nella tua vita e nella tua carriera?

Tornando indietro nel tempo, Francesco Ebbasta ricorda alcuni momenti passati :”Ero molto piccolo quando ho ricevuto il mio primo walkman, insieme alla cassetta di Nord Sud Ovest Est, la prima cassetta che abbia mai avuto. Mi ricordo che mi faceva sentire molto punk, perché Max e Mauro dicevano le prime parolacce nelle loro canzoni, e cantandole mi sentivo giustificato a ripeterle. Mi sentivo un vero ribelle! Ritrovarmi poi sul set a girare con il vero Max accanto e l’attore che lo interpreta è stato davvero emozionante.

La musica ha, inoltre, un ruolo fondamentale nella sua vita, sia personale che professionale: “In generale, per me la musica è importantissima, anche perché nasco come montatore, quindi sono abituato a lavorare seguendo il ritmo. Raramente mi capita di girare senza avere già in mente la colonna sonora. La mia messa in scena è molto legata al ritmo. Ho inoltre una sorta di ‘fetish’ per i karaoke, che sono presenti sia in Generazione 56k che in Pesci piccoli (di cui sto girando la seconda stagione). Per questa serie con gli 883 abbiamo fatto un lavoro musicale incredibile, ci sarà un repertorio vastissimo. Mi sono davvero divertito!

Gli anni ‘90 sono stati un periodo abbastanza florido nel mondo della cultura pop. A te cosa rimane di quegli anni? Che influenze ti hanno dato questi anni? 

“Il film che mi ha fatto capire che avrei voluto lavorare in questo campo è Jurassic Park del 1993; sicuramente, l’universo cinematografico degli anni ’90 ha avuto un forte imprinting su di me. Me ne rendo conto anche quando giro e immagino le scene. Col tempo, ho notato che una delle emozioni che più accomuna noi millennials è la malinconia, la nostalgia e l’abitudine a rivangare il passato, cercando di ricordare le esperienze vissute.”

Una differenza che, come sottolinea il regista, è evidente con la GenZ. Infatti dice: “Oggi, questa tendenza alla nostalgia e al passato sembra essersi un po’ persa, poiché si vive più nell’immediatezza del presente.”

Napoli è la città della creatività. C’è un’icona del mondo napoletano a cui sei particolarmente affezionato? 

“Sono legato all’immaginario di Massimo Troisi, simbolo di una rappresentazione chiara, semplice, genuina non artefatta,” racconta il regista. Poi amplia il discorso sulla città: “Credo che la creatività e la natura di fare poesia e spettacolo siano insite in ognuno di noi napoletani. Le ispirazioni che troviamo, noi napoletani che scriviamo, provengono da ogni cosa: dalla signora da cui prendi il caffè alle persone che hai conosciuto. Ci attingiamo continuamente da dettagli così assurdi, caratteristici e colorati. A Napoli, la vera scena è per strada.

C’è un altro biopic legato alla musica che ti piacerebbe portare sul piccolo o grande schermo? 

Non ci ho ancora pensato ma, anche se non è legato alla musica, sono molto interessato alla figura di Houdini. Magari in futuro…

A livello musicale però, non ho un sogno del cassetto in questo senso.

Come descriveresti questa serie in tre parole? 

Sicuramente “Amicizia”, ma anche “Italia” è un’altra parola molto importante all’interno della nostra serie, poiché racconta uno spaccato di quel momento. Infine, direi “Grande”, perché il progetto è davvero notevole. Chiunque lo vede si accorge immediatamente dell’alta qualità della messinscena, che è su un livello diverso rispetto a ciò a cui siamo abituati nel nostro panorama. Spero che questa percezione arrivi a chiunque si innamorerà del progetto.

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