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Il trono di spade, recensione – no spoiler – della serie fantasy su Now TV

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«Al gioco del trono si vince o si muore». Questa è una frase divenuta simbolo di quella che probabilmente è, per forza del fandom generato e discussione collettiva messa in moto, la serie più d’impatto del ventunesimo secolo. Stiamo parlando de Il trono di spade, l’epopea fantasy creata da David Benioff e D.B. Weiss nel 2011 per HBO, adattata a partire dal ciclo di romanzi Cronache del ghiaccio e del fuoco dello scrittore americano George R.R. Martin. Otto stagioni con più di settanta episodi per narrare le gesta di un’ampissima giostra di personaggi in un mondo vivido e spietato, per aggiudicarsi 59 premi Emmy e divenire una delle serie TV più premiate della storia della televisione.

La trama de Il trono di spade

Il trono di spade racconta una ramificatissima storia ambientata in un mondo immaginario costituito da due blocchi principali: da una parte c’è il continente Occidentale, Westeros, diviso in Sette Regni governati ognuno da ricche e potenti famiglie sopra le quali c’è solo il re che siede sul Trono di spade; dall’altro lato c’è poi il continente Orientale, Essos, sede di antiche città libere e molti misteri magici. Il cuore pulsante delle vicende sta nella parte Occidentale, più nello specifico nella città capitale di Approdo del Re, sede del trono.

Qui si alimentano e sfociano i moltissimi intrighi di potere che nel corso delle stagioni della serie vedono continui rovesciamenti di fronte, cambi degli equilibri di potere e teste rotolare in terra. Il tutto mentre dai venti del nord spira una minaccia paventata da una distante profezia e mentre dal continente Orientale l’ultima discendente di una vecchia dinastia reclama il suo posto nell’ordine degli eventi. Diversi personaggi fanno da filo conduttore in questa caotica era, come Jaime (Nikolaj Coster-Waldau), Cersei (Lena Headey) e Tyrion (Peter Dinklage) Lannister, Jon Snow (Kit Harington), Daenerys Targaryen (Emilia Clarke), Sansa Stark (Sophie Turner) e chi più ne ha più ne metta, tutti intrecciati a fondo da relazioni di odio e di amore, dove il sangue scorre copioso lungo la strada che conduce alla fine del percorso.

Perché guardare Il trono di spade

Poche serie, anzi, poche storie sono riuscite a catturare così tanto entusiasmo e desiderio di scoperta così come ha fatto Il trono di spade. L’opera fondata sulla mitologia di Martin ha da subito colpito per la sua capacità di ragionare in maniera svincolata dalle logiche di affezione dei prodotti simili. Restando per lo più aderente alla solida ossatura degli eventi narrati nei romanzi, Il trono di spade non ha mai risparmiato colpi di scena, improvvisi rovesciamenti di fronte e uscite di scena di personaggi che fino a quel momento sembravano essere centrali nel racconto.

Questo spiccato cinismo, unito all’abilità di intessere uno sguardo d’insieme dove tutti hanno da dire qualcosa ma dove nessuno è davvero al sicuro, ha fatto la fortuna di una serie mai timorosa di cambiare prospettiva, di offrire nuovi punti di vista e di immedesimazione nei personaggi anche più spregevoli. I Sette Regni non sono un posto per cuori deboli, questo è certo, e la serie alimenta la sua avvincente narrazione creando un mondo pieno di storia, carico di un passato che percorre sotto traccia il presente degli eventi fin quando il tutto non porta a improvvise rese dei conti.

Il trono di spade, perché non guardarlo

Nel caso non abbiate ancora avuto modo o il coraggio di imbarcarvi nelle perigliose acque attorno ai due continenti protagonisti de Il trono di spade, sappiate che se siete fan del genere (ma anche se non lo siete) qui troverete una serie imprescindibile. I suoi punti di forza li abbiamo in parte già detti, uniti all’ottima scrittura dei personaggi che vivono archi narrativi complessi e sfaccettati, che percorrono in lungo e in largo un territorio da scoprire passo passo con le sue storie e con le sue tante contraddizioni.

Certo, nel corso del tempo la serie non è stata esente da critiche, in particolar modo inerenti il percorso intrapreso dal racconto una volta che è arrivato a “sorpassare” gli eventi narrati nei romanzi di Martin, non ancora conclusi. L’ultimo paio di stagioni, nello specifico, sono forse quelle messe maggiormente sotto accusa, un po’ più deboli nel modo in cui sono chiamate a conciliare le molte linee aperte e la tanta carne messa al fuoco. Lo fanno con un po’ di affanno nel ritmo e nella gestione del pathos, non sempre trovando il centro delle questioni come ci aveva abituato in passato Il trono di spade.

Al netto di queste flessioni, comunque soggette al parere personale e alla volontà di lasciarsi immergere nella mitologia di un mondo così denso, Il trono di spade resta una serie alla quale va data una possibilità almeno una volta nella vita. E’ uno dei grandi racconti popolari del nostro tempo, forse il più chiacchierato e apprezzato, fonte inesauribile di affetto e discussione ancora oggi.

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