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Il ragazzo e la tigre, recensione (no spoiler) dell’avventura su un’amicizia incredibile

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Balmani è un bambino di dodici anni originario del Nepal, rimasto orfano dopo che la madre è morta nel drammatico terremoto che ha distrutto la sua casa. Ora il ragazzino vive nell’orfanotrofio dove lavora Hannah, che si trova nei pressi di un’oasi naturalistica, ma sogna di far ritorno nella sua amata Katmandu. In quel paradiso popolato da molte specie animali opera una banda di spietati bracconieri che uccide una tigre del Bengala e intende rapirne il cucciolo; provvidenziale è l’intervento di Balmani, che si imbatte nel piccolo felino e lo libera. L’animale gli si affeziona in maniera incredibile e deciderà di seguirlo nel viaggio che Balmani ha intenzione di compiere fino ad un monastero sulle cime dell’Himalaya, il Tiger’s Nest, conosciuto proprio – come d’altronde sottintende il nome – per essere un rifugio sicuro per le tigri.

Il ragazzo e la tigre: al centro del mondo – recensione (no spoiler)

Il regista Brando Quilici ha seguito le orme del più famoso padre Folco, tra i massimi documentaristi nostrani, capace di portare la natura selvaggia nelle case degli italiani. E dopo aver lavorato per diversi speciali su commissione di reti americane, nello scorso decennio aveva esordito in un’opera di finzione con il tenero Il mio amico Nanuk (2014), adattamento dell’omonimo romanzo che raccontava dell’incredibile amicizia tra un tredicenne e un cucciolo di orso polare. Otto anni dopo è tornato idealmente “sul luogo del delitto” per mettere in scena una nuova avventura vedente protagonisti un giovanissimo umano e un tigrotto, ambientando la storia nel suggestivo Nepal.

Uno sguardo che offre il meglio nelle sequenze dove compaiono proprio gli animali e dove l’esperienza del regista nell’esporre il contesto paesaggistico regala scorci di indubbia bellezza. Meno convincente invece la gestione degli attori e dell’anima prettamente cinematografica, che si affida a una sceneggiatura di facile empatia per conquistare il cuore dello spettatore.

Insieme contro tutti

Non vi è dubbio che il target principale de Il ragazzo e la tigre sia composto da un pubblico di famiglie, con i più piccoli che potranno immedesimarsi in quel loro coetaneo così coraggioso e amabilmente incosciente e i più grandi pronti ad accompagnarli in un racconto di stampo classico, che segue tutti i vari step del filone con una certa fedeltà ai prototipi.

Eccoci così alle prese con le varie fasi, dal rocambolesco salvataggio del cucciolo all’allattamento col biberon, fino al cammino on the road che offre diverse sorprese: dall’incontro con la tribù nomade al passaggio su una sidecar, dagli apicoltori che lavorano sui picchi alla medicina indigena; e poi ancora il cielo stellato e incontaminato e il risveglio di quella natura che allo stato brado può vivere libera e senza preoccupazioni. Un racconto edificante, poco originale ma che svolge il suo compito con dignità, senza cullare ambizioni alt(r)e.

Conclusioni finali

Un dodicenne accolto in un orfanotrofio dopo la morte della madre libera un cucciolo di tigre dalle grinfie dei bracconieri e si incammina insieme a lui per raggiungere un monastero sull’Himalaya, rifugio sicuro per gli animali selvaggi.

Un’avventura ambientalista messa in scena con lo sguardo attento del documentarista, figlio d’arte, Brando Quilici: un film suggestivo nelle riprese della natura, parzialmente balbettante nella gestione di cast e personaggi. Emozioni facili e genuine che emergono in un racconto sulla bellezza del creato, di quella flora e fauna da preservare a ogni costo, con l’esotico Nepal quale ideale ambientazione per quest’epopea di amicizia interspecie.

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