Giuseppe Fiorello e Paolo Briguglia sono ‘I Fratelli Corsaro‘. I due attori, che interpretano rispettivamente Fabrizio e Roberto Corsaro, sono i protagonisti della nuova fiction targata Mediaset. Durante la conferenza stampa, abbiamo intervistato gli attori che ci hanno raccontato chi sono i loro personaggi, gli aneddoti dal set e perché vedere questa fiction che è tratta dai romanzi di Salvo Toscano. Vediamo insieme cosa ci hanno rivelato.
Intervista agli attori Giuseppe Fiorello e Paolo Briguglia
‘I Fratelli Corsaro‘ arrivano in prima serata su Canale 5 e in streaming su Mediaset Infinity. La serie è una produzione Camfilm presentata da Taodue, con la regia di Francesco Miccichè. Saranno quattro le puntate (ognuna corrispondente ad un romanzo) che andranno in onda a partire da mercoledì 11 settembre 2024 alle ore 21.20. Nel cast, oltre a Giuseppe Fiorello e Paolo Briguglia, ci sono Enrica Pintore, Roberta Rigano e Katia Greco.
Ci raccontate chi sono ‘I fratelli Corsaro’, però non dal punto di vista del vostro personaggio ma quello del fratello: Giuseppe Fiorello raccontando chi è Roberto e Paolo Briguglia chi è Fabrizio.
Giuseppe Fiorello: Ok, va bene. Te lo racconto subito, vuoi cominciare tu?
Paolo Briguglia: No fratello comincia tu, voglio dire tu sei il più grande. Devi cominciare tu.
Giuseppe Fiorello: Lo vedete questo ragazzo? L’ho cresciuto io, era piccolo così. Me lo ricordo bene. Roberto, mio fratello, è un ragazzo molto elegante, raffinato, posato, equilibrato e gentile. Ha qualche ipocondria cioè è sempre preoccupato di qualcosa e io sto sempre lì a dirgli: ‘Ma lascia perdere, ma futtitinni. Ma che devi fare, pensa ad altro. Vieni con me, te la faccio passare’. Vieni con me, nel senso di vieni ti porto nel mio mondo un po’ più divertente. ‘Svegliati un po’ più tardi’. Quindi lo vedo da fuori e in realtà vorrei essere un po’ lui, in certi casi, perché poi Fabrizio si crea in tutto questo anche un po’ di solitudine. A Fabrizio piace questa solitudine, secondo me. Anch’io lo sto scoprendo con te il personaggio, secondo me gli piace un po’ la solitudine ma poi la soffre anche un po’.
La solitudine è una cosa particolare, è una sottile linea di vita che può farti scivolare da una parte e dall’altra. Ti può far scivolare nella tristezza, ti può far star bene, ti tiene lontano da una serie di fattori emotivi. Però ogni tanto Fabrizio l’ho sentito un po’ preoccupato di questa solitudine guardando un fratello che invece ha una stabilità. L’ho sempre guardato così mio fratello da fuori, e tu?
Paolo Briguglia: Fabrizio è inquieto. È un giornalista bravissimo e in effetti scrivere per il giornale, andare dietro ai casi, scoprire la verità, è il focus della sua vita. Per fare questa cosa ha lasciato una carriera d’avvocato. Ha dato un dispiacere al padre che aveva un grandissimo studio e che lo voleva avvocato ed, essendo il fratello più grande, voleva che lui prendesse le redini dello studio. Fabrizio invece, tale era la sua vocazione e il suo desiderio di libertà, ha abbandonato a pochi esami dalla laurea questi studi di giurisprudenza e ha cominciato a fare il giornalista. Ha cominciato a vivere da scapolone. Ogni tanto ci siamo affezionati a queste ragazze che lui portava, mia madre soprattutto, pensando che potesse essere la ragazza giusta. Invece la settimana dopo quando chiedevamo se la portava a pranzo, spiegava che non si vedevano più e si erano lasciati.
Quindi è molto, molto inquieto. Siamo preoccupati per lui, io, mia moglie, nostra madre perché lo vediamo che ormai comincia ad avere un’età: bisognerebbe fare dei figli, invece lui proprio non ci pensa neanche. Però ci vogliamo un bene profondissimo quindi nonostante l’enorme difficoltà e nonostante tutti gli attriti, nel momento del bisogno siamo sempre lì a soccorrerci. Ci salviamo reciprocamente anche la vita cioè questi fratelli arriveranno ad un certo punto, essendo sempre più coinvolti nei casi, a doversi salvare la vita l’uno con l’altro.
Giuseppe Fiorello e Paolo Briguglia siete entrambi siciliani, si è girato interamente a Palermo sia interni che esterni. Che emozione è stata, che energia vi ha dato la città di Palermo e se potete raccontare qualche aneddoto dal set, non so una richiesta di qualche fan particolare, se vi hanno offerto del cibo…
Giuseppe Fiorello: Offerto del cibo? Bisognava difendersi ad un certo punto! Io avevo un signore, sotto casa dove sono stato per per molti mesi e vicino all’hotel dove abitavo, che vendeva la sera col suo carretto (non facciamo nomi, perché è famoso in città ed è un Carrettino dove fa il famoso pane con la milza a Palermo). E non c’era sera che io non passassi da quella via e lui in palermitano, in siciliano, insomma mi diceva: “Lo vuoi mangiare un panino da me?”. Ma tutte le sere panino con la milza non era possibile quindi ogni tanto dovevo cambiare via. Lì la proposta del cibo è molto importante e frequente. Questo dimostra anche la generosità dei palermitani, l’accoglienza, la gentilezza, il calore e la simpatia.
È una città meravigliosa. Per me è stata una nuova conoscenza. Conoscevo Palermo ma sempre un po’ così, toccata e fuga per eventi o qualche settimana a teatro. Questa volta è stato un rapporto stabile per circa 4 mesi esatti. È stato un rapporto molto bello, vivo e passionale. È stata una scoperta per me Palermo.
Paolo Briguglia: Sì poi la città ha le dimensioni ideali per lavorare, rispetto a una grande città come Roma, è molto più contenuta. Quindi intanto la logistica degli spostamenti per il set è molto più comoda. Poi ti permette anche la sera, quando hai finito col resto del cast, di cenare, di bere un bicchiere, di continuare a parlare del lavoro, di approfondire, di godere della città quindi siamo stati benissimo. Io sono palermitano e per me, in qualche modo, era strano perché associo questo mio lavoro invece all’idea di viaggiare, di essere fuori. Essere invece a casa è come stare in pantofole a casa tua. Però mi sono divertito a portare dentro qualcosa che ho vissuto e che conosco molto bene.
C’è una quotidianità della città anche un modo di parlare, che è un accento particolare quello dei palermitani più o meno che hanno studiato come un avvocato. Non è il siciliano, quello che si sente un po’ nelle fiction, ma invece un modo, con una cadenza un po’ indolente ma in fondo molto simpatica che mi sono divertito a portare al personaggio.
Giuseppe Fiorello, lei nella serie è un giornalista che si occupa di cronaca nera. Ha anche scritto un film ‘Stranizza d’amuri’ che tratta un caso di cronaca nera. Il suo personaggio, Fabrizio, cosa scriverebbe su Sicilia oggi di questo caso del delitto di Giarre?
Cercherebbe di dire la verità come devono fare i giornalisti o meglio di ipotizzare una verità più vicina possibile a quella reale dei fatti. Alla fine, di quel caso, purtroppo non si è ancora mai saputo che cosa è accaduto realmente. Sono tutte supposizioni fatte dai giornalisti, dalla cronaca ma non c’è mai stata un’indagine approfondita. Quei due ragazzi, ed è una mia personalissima idea, sono morti per mano di persone di stampo discriminatorio- omofobo nello specifico. Quei due ragazzi si amavano, erano due maschi che si amavano, si volevano bene, erano fidanzati tra loro. Questo ha generato negli anni ’80 uno scandalo insopportabile probabilmente, e per questo, hanno fatto quella fine. Però tutto è passato un po’ più liscio di come la sto raccontando cioè loro sono morti come Romeo e Giulietta: omicidio-suicidio, uno ha ucciso l’altro.
E poi, se è finita così la storia, l’hanno anche resa romantica in qualche misura. Ma così non è secondo me. C’è anche una dinamica molto chiara, la pistola era molto lontana dai loro corpi, i due colpi di pistola in testa erano in un certo punto specifico perché potesse essere stata una terza persona. C’erano degli indizi abbastanza chiari. Allora io ho avuto l’urgenza, insieme a tante altre persone che hanno parlato e hanno raccontato di quel caso perché non sono l’unico. Io l’ho raccontato con un’altra poetica perché chi ha parlato del delitto di Giarre ha avuto l’urgenza di far capire che non è, come è andata. Non è quello che si è detto, c’è stato qualcos’altro dietro. Quindi Fabrizio avrebbe detto probabilmente quello che sto dicendo io.
Paolo Briguglia: Avrebbe buttato l’amo.
Giuseppe Fiorello: Esatto, lui (Roberto, ndr) dice spesso al fratello: ‘butta l’amo’.
Paolo Bruguglia, lei nella sua carriera ha fatto parte del cast di ‘Giovanni Falcone – l’uomo che sfidò la mafia’, ‘Peppino Impastato, ‘I leoni di Sicilia’. Ora è un avvocato penalista. Com’è stato interpretare questo ruolo, ricordiamo che nella serie non si parla solo di mafia ma di criminalità in generale.
Sì, di mafia si parla poco e niente. La tocchiamo, la lambisce questo tema della mafia ma giusto perché c’è un avvocato. L’avvocato penalista a Palermo può essere un lavoro molto rischioso perché ti può capitare spesso di dovere difendere dei mafiosi. Invece Roberto, seguendo l’orma del padre, ha deciso di non farlo. È stato molto divertente perché è un mondo molto lontano da me: confrontarsi con l’idea di questa conoscenza della legge, del codice penale, di avere un investigatore privato e mandarlo a scoprire. E certe volte mettersi in prima persona, attraversare dei confini anche in maniera non perfettamente legale. È stato un personaggio che ho amato moltissimo.
È stato molto divertente e mi piacerebbe tornare a interpretarlo, ti confesso, perché poi quando hai la possibilità di seguire un personaggio per tanto tempo lo arricchisci sempre di più, lo vedi crescere. Adesso i romanzi di Salvo Toscano vanno avanti con i nostri personaggi. Nel frattempo gli sono successe tante altre cose, sono cresciute, nascono figli, i figli crescono, affrontano la vita. È bello potere prendere un personaggio e accompagnarlo nel tempo. Sono molto legato a questa storia, a Beppe, a quello che abbiamo creato in termini di relazioni all’interno di questa storia. Non vedo l’ora che possa incontrare il pubblico naturalmente. E poi, se nasce l’amore, mi piacerebbe che questa storia andasse avanti.
A proposito dei romanzi di Salvo Toscano, noi vedremo quattro episodi che corrispondono a quattro romanzi. Cosa c’è di diverso rispetto ai libri nella serie?
Giuseppe Fiorello: Siamo stati fedeli, molto fedeli, devo dire molto aderenti al percorso letterario di Salvo Toscano. In realtà quando la letteratura si trasforma in immagini, per ovvie ragioni ci mette del suo: il cinema, gli attori, la regia, l’inquadratura e la fotografia può trasformare qualcosa ma più nello stile che nel contenuto.
Paolo Briguglia: C’è una piccola inversione sull’età dei personaggi perché nella realtà il personaggio di Fabrizio cambia, cambia il contenuto dello scapestratello piccolino.
Giuseppe Fiorello: No, bravo perché questa è una cosa che poi è piaciuta anche allo scrittore: l’idea di fare sì che il fratello grande fosse quello dal carattere un po’ più libertino, che sarebbe stato più scontato farlo indossare a un giovane scapestrato. Ma ci divertiva di più metterlo indosso a un uomo un po’ più adulto.
Paolo Brigulia: Sì e poi questo ha creato un conflitto ancora più forte. Il tema che dicevo prima, in fondo era il fratello maggiore che doveva prendere le redini dello studio, il fatto che non l’abbia fatto, ha creato una specie di trauma che è ancora più interessante nella storia che ci portiamo dietro del passato. Poi secondo me, una cosa diversa, è che nella scrittura Salvo si è potuto permettere anche dei toni più crudi nella descrizione dei casi, dei delitti. Noi siamo su una televisione generalista e ovviamente la vista del sangue no, di alcune situazioni l’abbiamo mitigata. Resta fedele il caso però siamo un po’ meno truci.
Perché vedere ‘I Fratelli Corsaro‘. Giuseppe Fiorello e Paolo Briguglia, lo spiegate in 30 secondi?
Paolo Brigulia: Perché è bello, no? Perché è una serie che ha tante cose, ti conquista. C’è il thriller, la scoperta che molti spettatori vogliono capirlo prima, si sforzano di arrivarci prima. Ed è bello anche perché c’è una un contesto molto simpatico. Questo rapporto fra fratelli è molto divertente e poi c’è una Sicilia meravigliosa dietro.
Giuseppe Fiorello: Perché è realista, abbiamo cercato di muoverci, parlare, comportarci nel modo più semplice, realistico e normale possibile per tentare di far scattare, allo spettatore e alle spettatrici, quello che noi chiamiamo tema dell’identificazione con quello che si vede. Cercare di empatizzare il più possibile senza stereotipi, senza atteggiamenti diciamo così, troppo sopra le righe, ma rimanere su una linea di normalità.