Gifted – Il dono del talento, la recensione (no spoiler) del film drammatico

Gifted - Il dono del talento

St. Petersburg, Florida. Mary Adler è una bambina di sette anni che ha uno spiccato talento per la matematica. Orfana di madre, è cresciuta insieme allo zio Frank, un ex insegnante di filosofia riciclatosi come meccanico nell’ambito nautico. L’uomo è fermamente convinto che Mary, nonostante sia un piccolo genio, debba frequentare una scuola elementare classica come tutti i suoi coetanei, per poter avere un’infanzia normale.
Ma quando comincia la prima elementare, le sue abilità fuori dal comune vengono inevitabilmente alla luce, con la piccola capace di risolvere calcoli complessi nell’arco di pochissimi istanti. Questo coincide con il ritorno sulla scena della nonna di Mary e madre di Frank ovvero l’arcigna Evelyn, un’ex matematica che pensa che la nipote debba coltivare le sue capacità nelle apposite sedi, per metterle al servizio della ricerca. Sarà l’inizio di una battaglia legale senza esclusione di colpi per l’affidamento della bambina

Gifted – Il dono del talento: essere o non essere

Un dramma familiare e familista, dove a sfidarsi a suon di colpi bassi e tranelli sono proprio coloro che più dovrebbero amarsi pensando in primis al benessere di quella bambina, già traumatizzata dal lutto della figura materna in tenera età. La sceneggiatura scava con una certa incisività nel cuore dei personaggi, anche se in diverse occasioni si accentuano troppo le estraneità optando per una distinzione netta e didascalica, che toglie parte delle verosimiglianza al racconto.

Racconto che vive comunque sulle intense performance di un sorprendente Chris Evans, che quando esce dai muscolosi panni di Capitan America si dimostra spesso attore più che discreto, e della allora giovanissima (il film è uscito nelle sale nel 2017) Mckenna Grace, qui sulle orme di attrici-bambine prodigio più famose come le sorelle Fanning. Ottimo anche il cast di supporto, con Olivia Spencer nel ruolo dell’amica di famiglia e Lindsay Duncan nelle vesti di tormentata “villain”.

Emozioni semplici ma genuine

Gifted – Il dono del talento, disponibile nel catalogo Netflix dove ha scalato le classifiche dei titoli più visti, vede dietro la macchina da presa Marc Webb, regista di un grande cult del cinema romantico come (500) giorni insieme (2009) nonché del sottovalutato dittico sull’Uomo Ragno interpretato da Andrew Garfield. Un autore incostante che però sa come raggiungere il cuore dello spettatore e anche in quest’occasione la verve emozionale, pur schiava di una certa retorica tipicamente americana, prende il sopravvento in diversi passaggi, soprattutto in quell’epilogo risolutivo che apre al futuro con rinnovata speranza.

Proprio nella semplicità di intenti il film trova la sua forza maggiore, capace di nascondere una certa prevedibilità dell’assunto e di portare l’attenzione sulla tematica universale dei bambini prodigio, con la piccola Mary che diventa suo malgrado elemento di discussione tra due modi diametralmente opposti di vedere la questione: concedere a chi dotato di capacità rare la possibilità di mettersi alla prova in contesti specializzati o lasciar crescere come chiunque altro? Una domanda che spinge anche il pubblico a interrogarsi, tra potenziali vie di mezzo e non.

Conclusioni finali

Una bambina genio della matematica si ritrova al centro di una contesa legale tra l’adorato zio, che la ha amorevolmente cresciuta dopo la scomparsa della madre, e l’arcigna nonna, pronta a tutta pur di sfruttare le sue abilità e non nasconderle al mondo. Gifted – Il dono del talento è un dramma relativamente classico nella contrapposizione tra due scuole di pensiero, emozionante al punto giusto anche quando rischia di (s)cadere in stereotipi assortiti. La regia idonea al racconto di Marc Webb e un cast eterogeneo dove brilla la piccola Mckenna Grace – nove anni ai tempi delle riprese – svolgono il loro dovere a prova di grande pubblico con una certa efficacia.

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