Francesco Sacco torna con il brano “TI SOMIGLIA MA NON SEI TU” (Nicotina Dischi/ADA Music), che anticipa il nuovo album di prossima uscita, terzo lavoro in studio dell’artista. Il brano è un anti-tormentone estivo, che utilizza toni ironici, caustici e rassegnati per riflettere sul genocidio del popolo palestinese e sulla distorsione delle notizie da parte dei media occidentali. Critica la borghesia tardo capitalista, egoista e indifferente, che segue passivamente il flusso rapido delle informazioni sui social media, dimenticando velocemente i drammi umanitari. La canzone inoltre, invita a riflettere sulla nostra umanità in un contesto di distrazione mediatica. Noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato il cantautore e con lui abbiamo parlato di questo nuovo progetto musicale, ma anche della sua
Intervista a Francesco Sacco
‘Ti somiglia ma non sei tu’ è il titolo del suo ultimo singolo che anticipa l’uscita del tuo terzo album. Come è nato questo brano e soprattutto l’idea di toccare certi argomenti?
“Da un punto di vista di tematiche e di scelte drammaturgiche del brano, è stato casuale e quasi di necessità. Non mi ero prefissato di parlare di quei temi, sono arrivato ad un punto in cui ho scritto quel brano e non potevo ignorare tali temi da un punto di vista di cronaca, da cittadino ed essere umano. Anche come artista ho sentito una sorta di bisogno di parlare di certe cose e anche di responsabilità verso l’ambiente, verso gli ascoltatori, di rispolverare quella che negli anni ’70 era la canzone di protesta che ora esiste sempre meno. Andare a parlare di qualcosa che riguarda la nostra società. A posteriori abbiamo costruito questo brano, ho lavorato con Luca Pasquino con il quale collaboro spessissimo, alla base. Tutti i miei brani hanno genesi diverse: a volte lavoro da solo, altre volte con Luca. Parto da un tema, oppure si sviluppa base e testo. In questo caso è arrivata prima la musica, avevo prima la base. Tutto quello che ho fatto a livello di costruzione del brano è stato accentuare questo brano, che per certi versi è anche allegro perché ha trombe e molto altro”.
Definito l’anti-tormentone estivo, il brano riflette su genocidio e diversi temi importanti ma ha comunque tutti gli elementi per essere un tormentone.
“Cerca di citare e di decostruire quello che rappresenta un tormentone. Non sono un artista da tormentone, ed è stato molto divertente giocare da un punto di vista musicale su quegli elementi iconici di quello che è una delle prime forme di musica in cui veniamo a contatto da piccoli. A quattro anni, quando vai in vacanza in un villaggio con i tuoi genitori, sei un bambino e vieni sottoposto al tormentone. È stato divertente giocare su quel contrasto lì: il tormentone serio che parla di attualità, parlare nel testo di una serie di urgenze sia mie personali ma che dovrebbero essere condivise. Si parla di un tema più che caldo, il disastro a Gaza. Ci sta poi che il brano venga reinterpretato anche nel tempo facendo riferimento ad altre realtà”.
Secondo lei, la musica può ancora essere megafono di argomenti come questo nonostante si dia importanza ad altri elementi che servono solo a fare numeri?
“Vedo due tendenze opposte. Da un lato c’è un ambiente musicale, un’industria che privilegia il discorso numerico e alla fine nel mio brano c’è una grossa e amara ironia nel dire come sottotesto che la musica e l’arte dovrebbero occuparsi di più di questo ma noi addetti ai lavori stiamo a pensare ai numeri. Noi inteso come discografici, artisti, uffici stampi, giornalisti. C’è questo velo di amarezza ironica nel camuffare un messaggio del genere da tormentone estivo. La tendenza opposta, più rassicurante lato pubblico, è quello che è successo di recente a tante popstar americane come Taylor Swift che hanno chiesto di schierarsi su alcuni temi come la Palestina. È il pubblico che richiama l’ambiente e gli artisti di tornare a parlare di certi agenti”.
Trova giusto che un artista si schieri?
“Giusto o sbagliato non lo so. Trovo legittimo che qualcuno vede nell’artista una forma di identificazione per la quale io fan mi dico che sono stato nei tuoi panni come ascoltare, ho percorso la tua vita nei tuoi testi, c’è questo tema sociale, politico urgente per me (che va dal genocidio ai diritti Lgbt, l’aborto) e chiedo a te artista di lanciarmi un messaggio su quella cosa. Può succedere che diventi una ‘paraculata’ e per accontentare tutti dico viva la pace. In generale sono interessato all’arte che anima il dibattito, altrimenti rischiamo di essere davanti all’intrattenimento per sempre. Trovo molto interessante che dal lato pubblico sia uscita questa necessità che ridà grande centralità all’arte. C’è un’intervista a Battiato molto interessante nella quale fa il paragone col modello americano, Letterman dice chi vota. Io non sono particolarmente fan del modello americano per tanti aspetti ma Battiato sottolineava come esporre e mettere le mani avanti su tutto ciò che può essere criptato. Posso passarti un messaggio in una forma più subdula, così invece è anche più trasparente e spontaneo. L’artista si deve legare a dei temi”.
Come si è avvicinato al mondo della musica?
“È successo in modo molto spontaneo e sorprendente. Non ho ricevuto particolari stimoli in famiglia, non vengo da lunghe dinastie di musicisti anzi, sono l’unico che suona. I miei genitori erano degli ascoltatori ma neanche troppo appassionati e io ad un certo punto in modo quasi ‘alieno’ rispetto agli stimoli famigliari, ho sentito la necessità di stare dalla parte di chi la fa la musica. Da piccolino ho insistito tantissimo con i miei per studiare, mi hanno iscritto a chitarra classica, cosa che ringrazio. All’inizio volevo fare violino perché avevamo tanta musica classica in casa e mi esaltava, mi piace Mozart. Poi ho fatto chitarra classica che mi ha accompagnato fino all’adolescenza e poi ho unito il discorso del testo. Fino all’adolescenza e alla pre-adolescenza l’ho vissuto come qualcosa di totalmente separato: da un lato avevo i miei quadernetti, taccuini sui quali scrivevo poesie, pensieri, testi e poi mi reputavo chitarrista rock blues. Ad un certo punto ho capito che unendo le due cose venivano fuori delle canzoni e da lì ho iniziato a comporre i miei primissimi brani. Venivo da una storia molto legata alla musica suonata, chitarra elettrica, e poi ho approfondito il mondo dell’elettronica, iniziato a produrre su pc, comprato i primi sintetizzatori, vengo da un percorso di molte contaminazioni che spesso anche fanno a pugni tra di loro ma cerco di farle andare d’accordo tra di loro”.
Cosa ha comprato con i suoi primi guadagni?
“Ho comprato una chitarra elettrica e poi l’ho venduta nei primi anni di miseria a Milano, quando ero da solo. Sono nato a Milano ma sono cresciuto a Novara, poi sono scappato nuovamente a Milano e vivo lì da 12 anni, adesso sta cambiando molto la città”.
Le collaborazioni tra cantanti anche provenienti da diversi stili musicali stanno andando molto. Ha un nome che le piacerebbe coinvolgere in un suo progetto?
“Ne ho molti. I feat spesso sono una strategia discografica, a me invece piacerebbe una collaborazione sincera, con qualcuno di cui amo la scrittura e ci possa essere uno scambio. Mi piacerebbe lavorare o con qualcuno di un’altra generazione, Nada tipo degli anni ’70, o qualcuno di molto giovane. Quei ventenni nel quale si sente un piccolo ricambio generazionale che è cresciuto con stimoli diversi come l’accessibilità della musica”.
Lei avrebbe fatto un talent?
“Me l’hanno chiesto varie volte, ci sono stati vari canali attraverso i quali X Factor mi ha contattato ma ho sempre detto di no. Non è il mio. Anche per come vedo che va la musica, senza giudizio verso chi lo fa, molti amici si sono trovati bene, altri male, ma non mi rispecchia. Preferisco svegliarmi tra un paio di anni con una fanbase costruita con lentezza piuttosto che svegliarmi dopodomani con mezzo milione di follower perché ho fatto la prima serata in tv e poi trovarmi al punto di partenza”.
Sogna Sanremo? Con quale brano le piacerebbe calcare quel palco?
“Mi piacerebbe portare dei contenuti, vorrei riuscire a trovare una mediazione ma neanche troppa, tra quello che scrivo e quello che si può dire sul palco di Sanremo. Penso alle polemicone su Ghali, sarebbe carino lanciare un messaggio senza polemiche inutili. Mi piacerebbe saperla fare bene e uscirne vivo, con una polemica attuale. Mi fanno un po’ tristezza gli scoop per Sanremo che non lo sono per il mondo, tipo due uomini che si baciano sul palco. Quello mi abbatterebbe per la società”.
Cosa si auguri per lei e per il futuro della musica italiana?
“Potrei riassumerlo dicendo di ascoltare di più il pubblico. La tendenza del mondo della musica è quella di chiudersi molto su ragionamenti su se stessa, fare tavole rotonde, gendar gap e a volte la soluzione è fuori la porta di casa. Basta fare un giro tra le persone, ascoltare di cosa ha bisogno il pubblico. Ti faccio un esempio banale: per tantissimi anni la musica italiana ha pensato che tutto quello che c’era fuori dall’Italia, fosse too much per il pubblico italiano. Noi in Italia negli anni ’90 dovevamo fare i Gemelli Diversi ma il 50% ascoltava musica non italiana. Ci siamo arrivati in ritardo a dire cosa fanno in America e in Inghilterra. Per farlo più in fretta e per avere un contatto con il pubblico, fai prima. Il mercato italiano non è pronto ma il pubblico sì, potevano arrivarci prima guardando l’America”.