Fondazione, la recensione – no spoiler – della prima stagione della serie su AppleTV+

Fondazione

Il Ciclo delle Fondazioni è il corpo di romanzi più celebre di Isaac Asimov. Nato all’inizio come una serie di racconti pubblicati individualmente, solo in un secondo momento sono stati raccolti assieme a formare una linea narrativa densa ed estremamente dettagliata, nel corso degli anni poi rivisitata e ampliata. Non è certo compito semplice quello in seno a Fondazione, serie sci-fi ideata da David S. Goyer e Josh Friedman per conto di AppleTV+ e con lo scopo di adattare il futuro dell’universo così come immaginato da Asimov. Ma supportata da un dispiego di mezzi e budget senza pari, Fondazione assolve al proprio scopo con grande eleganza ed attenzione per il dettaglio, restituendo dignità e fedeltà alle opere da cui si origina.

La trama di Fondazione, prima stagione

Trentacinque anni prima del presente, nell’anno 12067 dell’Era Imperiale, Gaal Dornick (Lou Llobell), una ragazza prodigio proveniente dal pianeta di Synnax, viene chiamata sul pianeta Trantor, capitale dell’impero, come apprendista di un famoso scienziato, Hari Seldon (Jared Harris). L’uomo è l’inventore di una nuova scienza, la psicostoria, per cui grazie alla matematica e alla statistica è in grado di ricavare proiezioni su eventi storici futuri e sul comportamento di grandi fette di popolazione.

Grazie a questi studi, Seldon prevede la rovina della casata imperiale che da migliaia di anni governa sulla galassia, professando ordine e pace tra i vari popoli e pianeti. A causa di queste ipotesi, Seldon e l’appena arrivata Gaal vengono arrestati e condotti a processo davanti agli imperatori (Lee Pace, Terrence Mann, Cassian Bilton).  I due scampano alla morte per un pelo, ma vengono esiliati sul pianeta Terminus, ai confini della galassia, dove potranno costruire la loro Fondazione e condurre i loro studi, in modo da rallentare il declino dell’Impero.

Fondazione – prima stagione, perché guardare la serie

Lo abbiamo detto in apertura, il compito che spettava a Fondazione non era certo dei più semplici. Questo perché da una parte c’è una densità di storie, di racconto e di eventi difficile da sintetizzare in maniera chiara ed efficace in un’opera audiovisiva; dall’altra è poi difficile trovare la giusta predisposizione di budget e di ricchezza visiva per trasportare un cosmo così tanto vario sullo schermo. In entrambi i casi, Fondazione supera la prova.

Quella della serie è una storia complessa ed avvincente che farà felici tutti i fan della fantascienza pura, fatta di colossali imperi, immense navi stellari, colonie, insediamenti, complotti e fragili equilibri sociali e politici. Dal macroscopico al microscopico, e viceversa. Non manca nulla e nulla è lasciato al caso. Nonostante si seguano differenti linee conduttrici – ci si accosta da vicino alle vicende legate ai tre imperatori, allo sviluppo della Prima Fondazione e poi anche al percorso di Gaal e Seldon, tutto si muove con estrema sincronia a tratteggiare gli angoli di un dipinto ancora da mettere a fuoco, ma che già narra di sconvolgimenti destinati a cambiare l’ordine delle cose.

Il maggior pregio della prima stagione di Fondazione sta nella capacità di conciliare il bisogno di offrire delle coordinate su un cosmo così vasto e dettagliato al suscitare interesse per l’intreccio di per sé. Insomma, la serie schiva del tutto il rischio di farsi didascalica, di scivolare in lunghi spiegoni atti al mettere nero su bianco il funzionamento di questo o il funzionamento di quello. Il filo si dipana lungo il corso dei dieci episodi, contribuendo un poco alla volta ad assegnare senso ai tanti concetti – anche molto complessi, come quello della Psicostoria – che popolano l’universo così come lo aveva pensato Asimov.

Perché non guardare Fondazione, prima stagione

Quello della prima stagione di Fondazione è un preludio ampio, avvincente e ricco di sfumature. Così come la serie è pensata dai suoi creatori, la si intende come un nuovo kolossal seriale destinato ad accompagnare gli spettatori per diversi anni. E’ quindi un patto di fiducia a lungo termine quello che l’opera di Goyer e Friedman richiede. Mette già sul banco una quantità di nozioni ed eventi gestita con maestria, mai avara di racconto né tantomeno di impatto visivo così come di contesto, lavorato con grande cura e che fa, soprattutto, ben intendere quanta importanza sia riposta nel progetto.

Se decideste di dare un’opportunità a Fondazione potreste non entrare immediatamente nel suo flusso, ma tenete a mente che la serie non pone nessuno scoglio di fronte allo spettatore. Lo accompagna con cautela, si schiude con ottimi tempi un poco alla volta, spazia tra i tanti dubbi che anelano negli animi di protagonisti consapevoli di trovarsi davanti a un punto di rottura, tesse le fila di una storia dove ogni elemento sembra essere al suo posto. Non ve ne pentirete.

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