Nica è rimasta orfana quando era soltanto una bambina, in seguito a un drammatico incidente automobilistico nel quale persero la vita i suoi genitori, provocato dall’improvvisa comparsa di un lupo in mezzo alla strada. La bambina viene così affidata alla cure dell’orfanotrofio Grave gestito dalla crudele Miss Margaret, la quale pretende da tutti il rispetto assoluto delle regole, all’insegna del motto “onore, rispetto e obbedienza“.
Trascorre il tempo e Nina arriva a compiere diciassette anni; proprio quando pensava che per lei ormai fosse troppo tardi, riceve la visita di una coppia che intende adottarla per superare la scomparsa del loro amato figlio; poco prima di partire verso la sua nuova casa, i novelli genitori notano anche il talento musicale di Rigel, un suo coetaneo nella sua stessa condizione, e decidono di avviare le pratiche per chiederne l’affidamento. La ragazza si ritrova così insieme a quel compagno così misterioso e affascinante, con il quale condivide un drammatico passato, e la loro nuova convivenza si troverà a fare i conti con i tipici turbamenti dell’adolescenza.
Fabbricante di lacrime: dalla carta allo schermo, la recensione (no spoiler)
Alla base vi è l’omonimo romanzo di Erin Doom, pseudonimo della scrittrice italiana Matilde, che un grande successo ottenne tra il pubblico di giovanissimi, sempre attratto da queste storie di stampo young-adult che ripercorrono il più classico dei canovacci. Una formula ormai vincente per conquistare il cuore del relativo target, che ha fatto breccia anche nella versione live-action sbarcata da pochi giorni nel catalogo Netflix, agguantando sin da subito il primo posto nella classifica dei film più visti. Anche la trasposizione in carne e ossa segue le dinamiche del classico triangolo sentimentale e la fascinazione della protagonista per lo stereotipo del “bello e dannato“, con un’atmosfera parzialmente dark e melodrammatica a fare da sfondo al cuore sentimentale della vicenda.
Il costante voice-over di Nina e i numerosi flashback che ci accompagnano indietro nel tempo, quando era soltanto una bambina, esplorano il background dei personaggi, cercando di dar vita a un contesto credibile e contestualizzato al filone, riuscendovi anche a tratti. Le sorprese e i colpi di scena va detto scarseggiano, giacché la sceneggiatura – e il relativo libro alla base – seguono linee guida prevedibili, preferendo andare a colpo sicuro con quel mix di romanticismo 2.0.
Modelli di ispirazione de’ Fabbricante di lacrime
Laddove il racconto non spicca per originalità, a livello di messa in scena va dato atto il tentativo di voler competere con i teen-movie a tema d’Oltreoceano, ricostruendo in Italia – dove sono state effettuate le riprese – l’immaginario tipico delle high-school americane, con una sorta di collegio dove tra i corridoi e gli armadietti si muovono figure aderenti a determinati stereotipi, tra diversità e pregiudizi. A tal proposito risultano parzialmente azzeccate le scelte di casting, che cercano di uscire da una gabbia fin troppo restrittiva spesso presente nel cinema tricolore: i giovani interpreti possiedono infatti la giusta freschezza, anche e soprattutto nei ruoli secondari, e a spiccare sono maggiormente le figure femminili.
Dal punto di vista tensivo Fabbricante di lacrime vive su un torbido, crescente, erotismo all’acqua di rose, tra baci rubati e passioni impossibili, lasciando poi al versante giuridico – processuale il compito di chiudere finalmente i conti con quel passato mai del tutto rimosso, svolta per un potenziale nuovo inizio. Certo in più di un’occasione la gestione dei dialoghi e delle battute rischia di apparire involontariamente pacchiana nella sua esasperazione decadentista, ma d’altronde Fabbricante di lacrime si rivolge a un target ben preciso, con tutti i pro e i contro del caso. E la regia di Alessandro Genovesi, che recentemente si era cimentato con il discreto remake 7 donne e un mistero (2021), si rivela abbastanza dinamica per poter competere con alcuni titoli omologhi provenienti da altre latitudini.
Conclusioni finali
L’amore tormentato tra due adolescenti, conosciutisi già da bambini nell’orfanotrofio che li ha ospitati per lungo tempo, rischia di esplodere quando vengono adottati insieme da una coppia di genitori. La nuova scuola e quel sentimento tra loro ancora inespresso daranno vita a un complesso coming-of-age, tra dolore e paura. L’adattamento dell’omonimo romanzo young-adult è un film a tratti fin troppo enfatizzato e telefonato dal punto di vista narrativo e nella gestione dei personaggi, che cerca però di offrire un qualcosa di inedito nel panorama nostrano, con l’ambizione in parte soddisfatta di competere con produzioni estere ben più note. E poco importa per l’ingenuità dell’assunto e la prevedibilità del racconto, che non scoraggeranno di certo il principale di target di riferimento