Il giovane Iván è ambizioso e intende guadagnare fama e rispetto anche se ciò vuol dire infrangere la legge. Il ragazzo entra casualmente in contatto con degli ambienti criminali che operano traffici illeciti tra il Belgio e la Spagna e date le sue straordinarie abilità al volante viene reclutato per trasportare denaro oltre confine. Ma ben presto il protagonista non è più intenzionato ad agire da semplice scagnozzo e intende prendersi la sua fetta della torta, cercando di scalare le gerarchie del potere e assumere un ruolo determinante in questo mercato di contrabbando. Così facendo rischia di attirarsi le antipatie del boss Escámez, che lo aveva accolto sotto la sua ala, mentre al contempo cerca di conquistare la bella figlia del gangster, che sembra avere un debole per lui. Ma a giocare con il fuoco molto spesso ci si scotta.
El Correo: a tutt gas – recensione (no spoiler)
Un film eccessivamente formulaico nel suo riproporre per l’ennesima volta un plot basico, tanto che sembra di assistere ad una classica operazione di copia / incolla senza nemmeno quel pizzico di originalità nella gestione non soltanto degli stereotipati personaggi ma anche dei colpi di scena, uno più prevedibile dell’altro. Soltanto l’epilogo è parzialmente fuori canone, per quanto anch’esso non certo originale, e i numerosi riferimenti al contesto storico e sociale di una Spagna che prima ha affrontato l’entrata nell’Euro e poi la crisi economica globale sono troppo superficiali per risultare effettivamente appassionanti.
Con El Correo ci troviamo davanti ad una pellicola stanca, un’inflazionata rivisitazione di quegli action-thriller che vedono come protagonista un ragazzo proveniente dal mondo del proletariato arrivare a guadagnare una caterva di soldi grazie al suo fiuto per gli affari criminali, per poi spenderli tra feste nei night club all’insegna della lussuria, belle macchine e hotel di lusso, senza pensare alle possibili conseguenze.
Sempre più in alto
Un approccio all’insegna di quel fine che giustifica i mezzi, con tanto di auto-assoluzione finale “i soldi sono come un virus” che si allinea a frasi fatte sui generis; d’altronde il personaggio principale, interpretato dall’anonimo Arón Piper, non spicca per carisma e simpatia. Nei cento minuti di visione si assiste a un continuo tira e molla, un gioco delle parti tra gang criminali, loschi faccendieri, politici corrotti e forze dell’ordine che indagano sul caso, con qualche gelosia qua e là. La femme fatale d’ordinanza e la bella figlia del boss rientrato in quel triangolo romantico d’ordinanza, ennesimo dettaglio schiavo di algoritmi prestabiliti.
Dispiace vedere in questo confuso calderone, seppur in un ruolo minore e per lui indolore, un attore di razza come Luis Tosar, tra i volti più noti del cinema spagnolo del nuovo millennio. Il regista Daniel Calparsoro torna idealmente “sul luogo del delitto” a due anni dal precedente Centauro (2022), remake di un film francese che almeno nelle sequenze d’azione garantiva la giusta dose di adrenalina: in El Correo anche questa è assente ingiustificata.
Conclusioni finali
Ha il fiuto per gli affari, o meglio per il crimine, l’ambizioso e al contempo ingenuo protagonista de El Correo, che si ritrova da un giorno all’altro da povero in canna a multimilionario, dopo essersi infiltrato in un giro malavitoso che dalla Spagna porta fino in Belgio.
Soldi facili, belle donne, feste sfrenate ma il dazio da pagare incombe in questo crime spagnolo che si rifà a una formula abusata senza particolare inventiva, con il costante voice-over del personaggio principale a dominare gran parte di una narrazione popolata da figure anonime e/o inconsistenti, in un intreccio privo non soltanto di effettive sorprese ma anche di sussulti di genere degni di nota.