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Downton Abbey, la recensione (no spoiler) della serie in costume

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Con sei stagioni e anche due film sequel all’attivo che ne chiudono l’ampio arco narrativo, Downton Abbey è una delle serie britanniche in costume più acclamate di sempre. L’ha creata Julian Fellowes e nel corso degli anni di messa in onda, tra 2010 e 2015, ha ricevuto moltissimi consensi da parte della critica e anche un considerevole numero di candidature a vari premi, come i prestigiosi Emmy Awards. Un successo amplificatosi nel corso del tempo su scala globale, che ha fatto acquisire allo show ampie fette di pubblico che l’hanno incastonata nel suo genere come un’opera di riferimento.

La trama di Downton Abbey

Ambientata in un periodo compreso tra il 1912 e il 1926, Downton Abbey segue le vicende della famiglia arisocratica dei Crawley, il conte (Hugh Bonneville) e la contessa (Elizabeth McGovern) di Grantham, tenutari della magione fittizia di Downton Abbey appunto, nella campagna dello Yorkshire.

La serie prende il via dal 15 apirle 1912, data dell’affondamento del Titanic, giorno vissuto con grande tristezza anche in casa dei conti a causa della morte durante il naufragio anche del nipote della coppia, futuro erede alla proprietà e della cospicua dote della contessa. Il nuovo erede è Matthew (Dan Stevens), cugino di terzo grado lontano dalla vita dell’aristocrazia e avvocato a Manchester.

L’improvviso cambio di prospettiva su quello che sarà l’avvenire della tenuta di Downton Abbey nei turbolenti anni che seguiranno getta scompiglio sulla famiglia e anche sul mondo della servitù che gestisce e popola la proprietà, su cui la serie si sofferma nel raccontarne le vicissitudine con altrettanto interesse.

Perché guardare Downton Abbey, la recensione

Sono poche le serie in costume in grado di mantenere alto l’interesse per un periodo di tempo così lungo come quello di Downton Abbey. L’opera di Fellowes si concentra a osservare i grandi mutamenti che riguardano un’aristocrazia il cui periodo d’oro sembra essere ogni giorno che passa sempre di più agli sgoccioli. Le sfide tecnologiche di un futuro che viaggia rapidamente mette a repentaglio la sopravvivenza di un modello tradizionalista che appare anacronistico, sorpassato. Mentre il mondo cambia con passi da gigante (la serie si apre appunto con il disastro del Titanic, ma è attraversata anche dagli eventi della Prima guerra mondiale), i Crawley vivono uno spaesamento che riassume alla perfezione l’eterno conflitto tra progresso e conservazione.

Ci si affeziona, però, a questi personaggi tratteggiati spesso secondo i canoni di un melodramma alleggerito, qui e lì, da piacevoli sferzate umoristiche. C’è infatti molta ironia che intervalla anche i molti dolori che puntellano i momenti salienti della seria. E in questo funziona il processo di avvicinamento alle loro gioie e ai loro dolori perché passa attraverso anche la realtà della servitù, il reale punto di contatto con un popolare che osserva e alimenta, un po’ come fanno gli spettatori, quest’aura di cui sono ammantati la tenuta e la famiglia Crawley.

Downton Abbey funziona, soprattutto, perché non è mai statica. Il racconto è in perenne mutamento, arranca dietro ai tempi in rapida evoluzione e al fermento che ruota attorno alla campagna nel mezzo della quale si staglia la tenuta. Funziona, inoltre, grazie al fondamentale contributo dei suoi notevoli interpreti, un parterre di eccezione tra cui figurano anche, tra i tanti altri, Michelle Dockery, Maggie Smith, Jim Carter, Brendan Coyle, Rose Leslie.

Downton Abbey, perché non guardarla

Se ci si approccia a Downton Abbey è perché in prima istanza si è fan delle serie in costume. Lo si fa perché si è anche disposti a perdersi dietro storie un po’ melense tese a metà tra il tragico e il divertito, caratterizzate da il tipico bon ton e portamento britannico, tutto etichetta e buone maniere. Se siete alla ricerca di questo, probabilmente con Downton Abbey avete fatto centro e potete aspettarvi di rimanere in compagnia della famiglia Crawley per un bel po’.

Lo show creato da Fellowes non delude le aspettative. Anzi, con la sua capacità di compiere svolte repentine, abbracciare nuovi personaggi e lasciarne andare via di storici, Downton Abbey non si pone mai come un monolite inamovibile, ma così come i suoi protagonisti cambia e cresce pur mantenendosi fedele a se stessa. Insomma, già dal primo episodio saprete cosa vi ritroverete di fronte per più di cinquanta episodi. Nel suo genere non c’è di meglio, prendere o lasciare.

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