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Dostoevskij: le interviste al cast della nuova serie dei Fratelli D’Innocenzo

foto di Simona Panzini

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Il 27 novembre arriva Dostoevskij, una nuova serie televisiva ideata, diretta e scritta dai Fratelli D’Innocenzo. Disponibile in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW con tutti gli episodi disponibili da subito, la serie è un viaggio intenso nelle tenebre dell’animo umano. Al centro della storia c’è il poliziotto Enzo Vitello (Filippo Timi), alle prese quotidiane con i suoi demoni interiori e con la caccia ad uno spietato serial killer. Soprannominato Dostoevskij per le enigmatiche lettere che lascia sul luogo del delitto, il crudele omicida amplifica i lati più oscuri dei personaggi. Noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato il cast e in quest’articolo vi sveliamo, attraverso le loro voci, qualche retroscena e curiosità su questo nuovo titolo.

Dostoevskij: l’intervista a Filippo Timi e Carlotta Gamba

Questo rapporto padre – figlia è molto complesso e disfunzionale. Ci sono delle scene molto forti, come è stato per entrambi mettere in scena questo legame così oscuro?

Carlotta Gamba: “Come dici, è complesso. Il mio personaggio lo si vede solo in relazione al padre, e le scene che doveva affrontare non erano leggere. Però io credo che, per affrontare un rapporto del genere e raccontarlo, bisogna essere in un luogo sicuro. E con Fabio e Damiano D’Innocenzo e Filippo non ci siamo mai lasciati soli. Anche Fabio e Damiano, in un certo senso, avevano bisogno di essere accolti, non solo noi. Ed è stato bello, è bello quando si può lavorare facendo scene del genere senza sentirsi abbandonati o giudicati. Questo era un tema del mio personaggio di cui avevo molta paura, anche quando poi i miei lo hanno visto, avevo paura di essere giudicata. Invece non è accaduto, e questa è una grande cosa.”

Filippo Timi: “A me è servito “investire” Carlotta, quindi il suo personaggio, come se lei fosse l’ultimo fiore di un deserto in procinto di estinzione. Con la consapevolezza che se mi avvicinavo troppo sicuramente avrei rovinato un fiore. In questo senso ho creato un legame di massimo valore. Ho iniziato a farle regali alle prove, volevo omaggiarla, come se ogni giorno dovesse essere il suo compleanno, dandole la massima importanza.”

L’aspetto della corrispondenza è fondamentale in questa serie tv. A voi piace scrivere lettere o vi ricordate di averne letta qualcuna di personaggi famosi o familiari che vi hanno particolarmente colpito?

Filippo Timi: “Io da ragazzo scopro Jean Cocteau, e mi innamoro della sua scrittura, un uomo molto colto, francese, metteva in scena spettacoli con i costumi di Coco Chanel. A un certo punto si innamora di quest’attore meraviglioso, un pugile francese di nome Jean Marais. Stanno insieme, e c’è tutto un epistolario tra loro due che io, a circa 22 anni, credo di essermi innamorato di quella storia d’amore. Nettamente diverso dallo scambio di lettere presente in Dostoevskij! Mi affascinano molto le lettere, faccio un pochino la stessa cosa anche con i messaggi. Faccio come se fossero piccole lettere, di solito d’amore.”

Carlotta Gamba: Io lascio piccoli fogliettini sparsi al mio compagno in casa la mattina. Come se fossero piccole lettere, faccio come fa Vitello con Dostoevskij, in un certo senso, ovviamente scrivo cose più carine! Anche se in realtà, la comprensione di quello che scrive Vitello comunque è bella, è molto poetica, lui non lascia da solo Dostoevskij.”

La serie mostra dei personaggi ai confini della società che sono completamente soli. Secondo voi, quanto questo aspetto della solitudine riflette i rapporti di oggi?

Filippo Timi: “Secondo me c’è la stessa solitudine da sempre, cambia la percezione che hai tu nei diversi momenti della vita. Si nasce soli e si muore soli. C’è una mia amica che mi ha raccontato che i suoi genitori, in due momenti diversi, in ospedale dove erano ricoverati, hanno aspettato che lei uscisse dalla stanza prima di andarsene. Ed è giusto. C’è da preservarla la solitudine, è bello quando hai voglia di stare da solo e stai bene. E poi capire che sei un’isola: non sei mai davvero da solo.”

Dostoevskij: l’intervista a Gabriel Montesi e Federico Vanni

Interpretate due poliziotti completamente diversi, come è stato per voi calarsi nei panni di questi personaggi? E come è stato lavorare con i Fratelli D’Innocenzo (nel caso di Gabriel, tornare?)

Federico Vanni: Lavorare con i Fratelli D’Innocenzo, per me che vengo dal teatro, per cui per ora non ho avuto grandi esperienze televisive, è stato un incontro che definire fortunato è dir poco. Entrare nel cinema di serie A con loro due, che io avevo amato profondamente per le opere precedenti è stato un dono della vita. Che credo abbia cambiato anche qualcosa in me.”

“L’incontro con il personaggio invece è stato un incontro che è arrivato per me forse in un momento buono della vita, tante cose della mia vita erano vicine a quelle di questo personaggio. Ci sono sono state una serie di circostanze, l’incontro con i Fratelli D’Innocenzo, l’incontro con una storia e una sceneggiatura scritta meravigliosamente, un personaggio molto vicino a mio padre. È stata una bellissima esperienza, molto felice per me. “

Gabriel Montesi:È un’esperienza fantastica quella di tornare con i Fratelli D’Innocenzo, perché io li ho conosciuti per Favolacce, quindi quando mi hanno dato l’opportunità di fare il provino per questo ruolo qua è stato molto emozionante. Ritornare in scena con loro, di sentire i loro provini con la macchina addosso, capirli e non capirli. Ho sempre sperato di tornare a lavorare con loro, è un’esperienza meravigliosa. Questa serie per me è stata decisiva per tanti aspetti, è stato un punto per me anche nevralgico di carriera, uno dei miei primi personaggi un po’ più consistenti.”

“Mi sono misurato con qualcosa che di primo impatto non pensavo di poter riuscire e invece in qualche modo, contornato da belle persone e grandi artisti, mi sono sentito tutelato. “

Questa serie esplora dei punti molto oscuri, come se fosse un viaggio nelle tenebre dell’animo umano, sottolineato anche nella scelta dei luoghi e nella fotografia costantemente scura. Come è stato girare in questi luoghi così deserti e in ambienti così bui?

Federico Vanni: “È stato bellissimo, è una cosa molto particolare, il lavoro di trucco, fotografia è stato magnifico. Ci ha portato veramente in un altro mondo. E secondo me, uno fa questo mestiere soprattutto per andare in altri mondi e conoscere altre persone, meglio di così…”

Gabriel Montesi: “Il lavoro che ha fatto Matteo Cocco (direttore della fotografia ndr) è stato devastante, bellissimo, poi abbiamo girato in pellicola, con quel suo rumore tipico davvero incredibile.”

“C’era anche il momento di andare a vedere quando la scena era buona o no, nel senso che facevi il ciak, ma magari c’era la possibilità che non fosse andato bene. In realtà solo una volta non è andata!”

All’interno della caserma di polizia c’è molta rabbia, aggressività e individualismo nei rapporti lavorativi. Secondo voi in che misura sono presenti questi concetti nella società attuale?

Federico Vanni: “Io penso che questo tipo di situazioni e circostanze sono molto più presenti nella società moderna di quanto un film riesca a contenere. Sono molto più inquietanti e forti, per quanto una persona possa raccontarlo come un’opera d’arte, che può essere un’opera teatrale o cinematografica. Quel lato oscuro, violento, ce l’abbiamo dentro tutti, anche i più pacifici, e nella società moderna c’è, spesso, molta più dimestichezza nel tirarla fuori.”

Gabriel Montesi: “In una scala da uno a dieci, ti direi dodici! Per quanto riguarda il mio personaggio invece, il mio è un individualista devastante, guarda solo a se stesso, pensa solo a se stesso, cerca di essere il migliore.”

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