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Domenico Iannacone, intervista esclusiva al conduttore di “Che ci faccio qui”: “Mi indigna l’indifferenza. Telemeloni? La Rai deve riprendersi un ruolo centrale nelle proposte culturali”

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Dal 30 maggio è iniziato su Raitre il programma “Che ci faccio qui” condotto da Domenico Iannacone. In un continuo cambio di registro narrativo, Iannacone ricompone la trama di storie che conducono dentro mondi inaspettati, consegnandoci uno sguardo che ribalta la percezione comune delle cose. Con “Ti vengo a cercare”, Domenico Iannacone ci mostra un Sud dalle complesse dinamiche sociali che spesso ci fa indignare, ma che a volte riesce anche a stupirci come accade all’Università di Cosenza in cui vengono assunti giovani laureati in ingegneria o elettronica.

Noi di SuperGuida TV abbiamo intervistato in esclusiva Domenico Iannacone. Pur avendo ricevuto tanti riscontri positivi sui social, il giornalista non si sente un modello ma anzi rivela: “Mi percepisco come un’istanza per chi vuole essere rappresentato in televisione. Credo di poter rappresentare il servizio pubblico nella misura in cui riesco a raccontare le storie di questa moltitudine che altrimenti resterebbe senza voce”. 

Durante gli anni di assenza dalla Rai, le proposte non sono mancate: “Non sono un interno della Rai e in questo lasso di tempo ho ricevuto delle proposte da altre emittenti. Ho sempre pensato che il servizio pubblico fosse la mia casa. Da ventitré anni sono stato su Raitre e non ho mai fatto il salto della quaglia. Ho pagato lo scotto perché due anni e mezzo di congelamento non sono stati belli. Fortunatamente mi sono difeso con il teatro che è un antidoto al mezzo televisivo. La mia idea è di rimanere in Rai, poi nel futuro non si può mai escludere nulla”. Negli ultimi mesi in Rai si parla sempre di più di Telemeloni.

Ma esiste davvero? Domenico Iannacone ha un’idea ben precisa: “La Rai deve riprendersi un ruolo centrale nelle proposte culturali. Ho notato che da questo punto di vista ci sono delle lacune. E’ come se ad un certo punto la Rai si stesse svuotando di contenuti. Secondo me diventerà di nuovo un’azienda leader quando proporrà programmi che hanno a che fare con il pensiero. Quando le persone inizieranno a riflettere su quello che viene mandato in onda allora vorrà dire che la Rai avrà assunto un ruolo centrale all’interno del dibattito del nostro Paese”. 

Domenico Iannacone, intervista esclusiva al conduttore di “Che ci faccio qui”

Domenico, dal 30 maggio è tornato in onda su Raitre “Che ci faccio qui”. Un programma che rappresenta una fotografia analitica della realtà in cui viviamo. Che situazioni hai trovato? 

La situazione è peggiorata sia per le condizioni di vita che per mancanza di diritti. Chi dovrebbe intervenire secondo me non lo sta facendo nelle zone più calde come Rosarno in cui sono stato. Quando faccio un viaggio nel profondo Sud come quello che ho fatto nelle prime due puntate in Calabria le luci e le ombre si alternano. In queste zone non c’è però solo arretratezza. A Cosenza c’è una multinazionale che assume ormai da quattro anni giovani laureati in ingegneria informatica o elettronica ma anche filosofi. Il Sud vive di questa ambivalenza, è come un Giano bifronte con una parte che guarda al passato e l’altra che guarda al futuro. 

Sui social il programma ha ricevuto tanti commenti positivi. Il critico Aldo Grasso ha scritto che il programma ci ricorda cosa significa essere servizio pubblico. Ti percepisci come un modello? 

Mi percepisco come un’istanza per chi vuole essere rappresentato in televisione. Credo di poter rappresentare il servizio pubblico nella misura in cui riesco a raccontare le storie di questa moltitudine che altrimenti resterebbe senza voce. 

E’ un programma con un chiaro intento politico senza alcun slogan. Un’eccezione in televisione. 

Ritengo che il mio programma sia fortemente politico nella misura in cui la politica si occupa di determinati argomenti. Mi riferisco non alla politica dei partiti ma a quella politica che si impegna nei confronti di chi ha bisogno di essere raccontato. 

Sei stato assente dalla tv per due anni e mezzo. Immagino che le proposte però non siano mancate. 

Non sono un interno della Rai e in questo lasso di tempo ho ricevuto delle proposte da altre emittenti. Ho sempre pensato che il servizio pubblico fosse la mia casa. Da ventitré anni sono stato su Raitre e non ho mai fatto il salto della quaglia. Ho pagato lo scotto perché due anni e mezzo di congelamento non sono stati belli. Fortunatamente mi sono difeso con il teatro che è un antidoto al mezzo televisivo. La mia idea è di rimanere in Rai, poi nel futuro non si può mai escludere nulla. 

Da cittadino, ancora prima che da giornalista, cos’è che ti indigna di più in questo momento? 

Mi indigna di più l’indifferenza e anche l’incapacità di entrare nelle problematiche altrui. Ho notato che tutto si ferma ad una sterile demagogia, ad uno sterile confronto dialettico senza che ci sia mai nessuno che si sporchi davvero le mani. 

Ti ha mai sfiorato l’idea di scendere in politica? 

Qualche tempo fa in Molise il centrosinistra mi aveva indicato come il possibile candidato alle elezioni regionali ma poi la cosa è sfumata. Avrei avuto difficoltà a vivere il momento politico attuale con questa litigiosità. Mi sarei trovato male. Meglio che io continui a fare il giornalista. 

In Rai si parla molto di Telemeloni. Secondo gli addetti ai lavori è una gestione disastrosa del servizio pubblico. Che idea ti sei fatto? 

La Rai deve riprendersi un ruolo centrale nelle proposte culturali. Ho notato che da questo punto di vista ci sono delle lacune. E’ come se ad un certo punto la Rai si stesse svuotando di contenuti. Secondo me diventerà di nuovo un’azienda leader quando proporrà programmi che hanno a che fare con il pensiero. Quando le persone inizieranno a riflettere su quello che viene mandato in onda allora vorrà dire che la Rai avrà assunto un ruolo centrale all’interno del dibattito del nostro Paese. 

A te è capitato di essere vittima di censura? 

E’ stato sottovalutato il programma che sto facendo. Due anni e mezzo di assenza non sono stati indolori per me. 

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