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Come uccidono le brave ragazze, la recensione del teen-mystery

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Sono già trascorsi cinque anni da quanto un macabro fatto di cronaca nera sconvolse la piccola comunità di Little Kilton, immersa nelle campagne inglesi. La studentessa Andie Bell, fra le più popolari della scuola, venne infatti brutalmente uccisa e il principale sospettato risultò essere il suo fidanzato Sal, che si tolse poi la vita in circostanze misteriose: il suicidio chiuse di fatto le indagini, con l’opinione pubblica pronta a ritenerlo colpevole e spinto a tal gesto dal senso di colpa.

Pippa, che ai tempi era soltanto una ragazzina è ora ha diciassette anni, stringe amicizia con Ravi, il fratello minore di Sal, e insieme a lui decide di “riaprire” il caso, conducendo un’investigazione personale sotto le mentite spoglie di un progetto scolastico. La ragazza comincia ad accumulare indizi e si mette sulle tracce dei migliori amici della vittima, nella speranza di scoprire cosa sia realmente avvenuto nelle tragiche ore della sua scomparsa, finendo per scoperchiare un vaso di Pandora che doveva rimanere chiuso ad ogni costo…

Alla base di questa miniserie in sei episodi – per una durata complessiva di circa 4 ore – vi è l’omonimo romanzo di Holly Jackson, primo di una trilogia ma fruibile anche singolarmente, così come questa trasposizione in formato seriale sbarcata recentemente nel catalogo di Netflix. Tra teen-drama e cold case, Come uccidono le brave ragazze è un whodunit che si carica di spunti nella sua premessa, salvo poi non trovare uno svolgimento uniforme nel corso di questa prima stagione dove convivono luci e ombre, sorta di involontaria metafora dei segreti nascosti in questa piccola cittadina dove – caso più unico che raro – nessuno sembra sapere nulla di nessuno.

Perchè guardare Come uccidono le brave ragazze

Il motivo principale che catalizza l’interesse del pubblico è senza dubbio l’interpretazione della sua straordinaria protagonista, una Emma Myers che sfuma il suo personaggio anche nelle soluzioni di sceneggiatura più forzate e improbabili. La giovane attrice, già complementare spalla di Jenna Ortega in Mercoledì, è convincente sia nelle parti più leggere che in quelle più tese e drammatiche, trovando la giusta chiave di lettura per un personaggio destinato suo malgrado a essere alpha e omega del racconto.

Come detto soprattutto la puntata pilota lasciava intravedere molte potenzialità, non soltanto a livello narrativo ma anche per ciò che concerne stile e messa in scena, con un efficace mix tra immagini e colonna sonora che riesce almeno in quel promettente inizio a immergere al meglio lo spettatore nel mood emotivo della vicenda. Vicenda che sia per i nomi di alcuni personaggi, che per il look e alcuni risvolti può riportare alla mente la prima incarnazione del popolare videogame Life is Strange, con un’anima indie che prende più volte il sopravvento nel corso dei tumultuosi eventi. La riuscita atmosfera iniziale si ritrova anche nella conclusione, con l’episodio finale dove infine – quasi – tutti i nodi vengono al pettine tra suspense e colpi di scena, seppur certe rivelazioni siano fin troppo indirizzate da una sceneggiatura non sempre precisa. E proprio qui arriviamo al punto dolente.

Come uccidono le brave ragazze, perché non guardarla

Nella parte centrale della stagione è evidente un netto calo, quasi che le sei puntate fossero effettivamente troppe per quanto vi era effettivamente da raccontare. Tempi morti, dialoghi allungati, personaggi secondari che perdono di profondità e altri del tutto inesplorati salvo ricomparire improvvisamente quando la storia ne abbisogna. Allo stesso modo anche l’accompagnamento musicale perde di incisività, con poche canzoni che ben si adattano a quanto accada in scena, e una palese stanchezza si riflette anche nella missione da improvvisata detective di Pippa, con un’inutile e obbligata verve romantica innestata tra i due personaggi principali, non potente nemmeno contare sull’alchimia pressoché inesistente tra la Myers e il compagno di set Zain Iqbal.

Ma ancor più grave – non sappiamo quanto imputabile alle pagine scritte all’origine – è la gestione di diversi passaggi, nei quali i Nostri si ritrovano ad uscire da situazioni di impaccio con soluzioni last-minute o raffazzonate, privando di fatto di qualsiasi verosimiglianza il quadro generale, giacché tutto va come deve andare senza preoccuparsi troppo del realismo. Proprio il contesto, sia rappresentato da suddette situazioni o dall’inerzia di una comunità che sembra invisibile, vuoto palcoscenico per le indagini di una novella Sherlock Holmes in erba, è talmente anonimo da rendere ancor meno interessante la trama principale, che finisce per muoversi in maniera molto più verticale e stereotipata di quanto le premesse potessero far pensare.

Conclusioni finali

Quando in una miniserie di solo sei episodi quelli migliori sono il primo e l’ultimo, vuol dire che qualcosa non ha funzionato nella gestione narrativa e stilistica. Adattamento dell’omonimo romanzo, Come uccidono le brave ragazze ha sicuramente ottimi spunti – tra citazioni e atmosfere teen a tratti avvolgenti – e può contare sull’ottima prova della protagonista Emma Myers, che emerge ancora di più per via un cast di contorno relativamente anonimo. Ma è la sceneggiatura il problema principale, afflitta da cali di ritmo e da una gestione non sempre convincente di situazioni e personaggi, influenzando di fatto anche una messa in scena che procede a corrente alternata tra momenti efficaci e altri incolori.

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