Cobra Kai: recensione (no spoiler) della serie revival di Karate Kid

Cobra Kai

Pochi revival funzionano davvero. Cobra Kai è uno di quelli. Ambientato trent’anni dopo i fatti del primo Karate Kid, uscito nelle sale cinematografiche nel 1985, il racconto seriale a cui hanno messo mano Hayden Schlossberg e Jon Hurwitz è uno degli spin-off meglio riusciti per un franchise di simile portata. Un inventarsi tutta un’inedita storia e renderla uno show originale su Netflix, rimanendo però fedeli al capostipite e mantenendone saldamente la base. Mettere la cera e togliere la cera ancora un’altra volta per creare un altro pezzo cult del panorama delle arti marziali, nonché dei prodotti d’intrattenimento che più sono riusciti a metterli in primo piano.

La trama di Cobra Kai

Johnny Lawrence, interpretato come anni addietro dall’attore William Zabka, è un alcolista che ha sprecato la sua vita, che sa di non essere né un buon padre, né di essere stato capace di costruirsi un brillante futuro. Tutto il contrario di Daniel LaRusso, anche qui ancora una volta interpretato da Ralph Macchio, suo acerrimo nemico a cui Johnny attribuisce tutte le colpe della sua esistenza andata catastroficamente a rotoli. L’uomo è infatti ancora fermo a quel torneo di karate perso decenni prima e che è convinto abbia determinato in negativo la sua vita. Sarà per questo che deciderà di mettere su una scuola per formare giovani allievi, così da segnarli alla gara dell’All-Valley e poter rivoluzionare il suo avvenire vendicandosi tramite i ragazzi degli eventi accaduti nel passato.

Perché guardare Cobra Kai

Se si è patiti della saga di Karate Kid, Cobra Kai è una visiona assolutamente da non poter perdere. Una vera e propria fortuna per quegli appassionati che non si sono sentiti il cuore rimpicciolirsi in petto come capita purtroppo spesso con tali esempi di prodotti-nostalgia, fatti solamente per accaparrarsi un pubblico più o meno sicuro, deturpando spesso i risultati raggiunti con i film o le serie precedenti.

La fortuna di Cobra Kai è stata perciò quella di aver trovato degli showrunner che non avessero solamente brama di tirare fuori qualche guadagno da un classico dell’immaginario mainstream, ma di far rifiorire il mito del dojo e di quel signor Miyagi i cui insegnamenti continuano a riverberare anche in questa variante seriale. Di cercare un ponte che unisse lo show alla sfera cinematografica in cui Karate Kid si è sviluppato, permettendogli anche di camminare (anzi, di lanciare calci) con le proprie gambe, mescolando insieme icone già conosciute e nuovi personaggi.

C’è dunque comicità e continua atmosfera di sfida in Cobra Kai, ci sono Daniel Russo e Johnny Lawrence che tornano a scontrarsi, ma anche tutta l’ironia di un tempo che ormai è cambiato, per loro e per la società, e che viene quindi riflesso anche nella serie tv. Un continuo ripescare volti che hanno fatto parte dei film degli anni Ottanta e un inevitabile affezionarsi a quelli attuali. Una vittoria che è quella di cui più di tutti può vantarsi proprio Johnny Lawrence, che da cattivo diventa di diritto uno dei personaggi preferiti della serie.

Perché non guardare Cobra Kai

Se non si ha dimestichezza con la saga di Karate Kid, sarebbe il caso prima di recuperare i film e poi di approcciarsi a Cobra Kai. Una serie che conquista non puntando solo sul sentimentalismo, ma su un’originalità iniziale che tende però leggermente a svanire col suo proseguimento.

Le varie stagioni, infatti, si susseguono quasi identiche una dopo l’altra, non lasciando abbastanza spazio per creare ogni volta qualcosa di inedito e riproponendo per questo sempre la medesima formula, a cui sarebbe necessario un brusco cambio di rotta, che non sembra però mai arrivare.

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