Antonio è un ex tornitore che ha lavorato per tutta la vita nella fabbrica del paese dove è nato e cresciuto. Un posto dove tutti si conoscono e dove pensi che niente possa andare storto. L’uomo è separato, ha per amante una donna sposata e vive con l’anziana madre, affetta da demenza senile; come grande passione ha il gioco delle bocce, che pratica con amici a tornei amatoriali. Un giorno Antonio riceve una telefonata dalla figlia Emilia, che lo informa della sua decisione di sposarsi con lo storico fidanzato Chicco: una notizia che porta grande gioia al protagonista, ora intenzionato come tradizione vuole ad accollarsi le spese delle nozze imminenti.
Peccato che quando si rivolge alla sua banca il direttore gli consigli di non dilapidare il grosso investimento in azioni da lui fatto – a sua insaputa – tramite un precedente contratto, ma bensì di richiedere un nuovo prestito di trentamila euro a condizioni ancor più vantaggiose. Antonio, che non ha mai capito niente di faccende burocratiche, accetta, ignaro che la filiale sia prossima al fallimento e che i risparmi suoi e dell’intera comunità siano prossimi a svanire nel nulla…
Cento domeniche, tutto da perdere: la recensione (no spoiler) del film
Un cinema popolare schietto e senza mezze misure, che si rifà a molteplici casi di cronaca e a quel malcostume che spesso vede proprio le banche come colpevoli di truffe più o meno conclamate ai danni di comuni risparmiatori, che vedono dilapidati i guadagni di una vita intera in seguito a pratiche fraudolente ordite da individui senza scrupoli. Antonio Albanese è qui regista, sceneggiatore (a quattro mani con Piero Guerrera) e protagonista di Cento domeniche, un titolo ben preciso il cui significato verrà specificato in un drammatico dialogo in una stanza d’ospedale.
Perché l’ora e mezzo di visione è caratterizzata da un’aura tragicomica destinata via via a incupirsi progressivamente, fino a quell’escalation tensiva finale che riporta alla mente le atmosfere di un grande classico del “cinema esasperato” quale Un giorno di ordinaria follia (1993), perfetta chiusura di un film che non cerca facilonerie di sorta ma anzi si pone nelle sue note più amare e crudeli quale specchio di una società contemporanea dominata dalle logiche del dio denaro e del capitalismo.
Davide contro Golia
Il suggestivo contesto di quel piccolo paesino sul lago di Lecco è l’ambientazione ideale per raccontare questa storia dove la situazione di imbarazzo e di impotenza riguarda non soltanto uno ma tanti, con class action e manifestazioni di protesta più o meno pacifiche davanti alla banca, dove i dipendenti stessi si dividono tra chi è consumato dalla vergogna e chi ancora cerca di difendere l’indifendibile.
Albanese è abile nel gestire toni e modi, riempendo la narrazione di personaggi secondari amabili e verosimili che riguardano da vicino situazioni comuni, dalla madre malata con problemi di memoria alla separazione coniugale, dalle scorrette pratiche lavorative a casi di depressione, specchio di un Italia che proprio nelle sue debolezze e idiosincrasie ritrova la forza per unirsi di fronte alle avversità. E a differenza di altri titoli recentemente sulla cresta dell’onda, Cento domeniche opta per non indorare la pillola, mettendo a nudo pro e contro di una nazione intera, qui espressa in una familiare, rassicurante e ingenua al contempo, eterogeneità.
Conclusioni finali
Quando scopre che la figlia è prossima a sposarsi, Antonio è al settimo cielo, salvo poi dover fare i conti con il fallimento della banca che custodiva tutti i suoi risparmi. Una situazione che lo trascina sempre più nel baratro, verso un potenziale punto di non ritorno.
Dramma popolare travestito da commedia tragicomica, un film di impegno civile dove Antonio Albanese – regista, sceneggiatore e protagonista – si dimostra lucido narratore e interprete di un’Italia verosimile; verosimile come le situazioni truffaldine che mandano spesso all’aria migliaia di famiglia, rendendo vane “centinaia di domeniche”.