Cabinet of Curiosities, la recensione – no spoiler – della serie antologica di Guillermo Del Toro

Cabinet of Curiosities

E se una stanza delle meraviglie custodisse non meraviglie, bensì orrori? Succede in Cabinet of Curiosities, serie antologica prodotta da Guillermo Del Toro e uscita su Netflix a ridosso dell’ultimo Halloween. Gli episodi sono otto e tutti scritti da diversi autori e diretti da diversi registi, ma accomunati fra loro per comunione d’intenti: narrare gli incubi che si annidano nel nostro stesso corpo.

Cabinet of Curiosities, la trama

In Lot 36, diretto da Guillermo Navarro (fidato direttore della fotografia di Del Toro), Nick cerca di aggiudicarsi all’asta un magazzino dal contenuto sconosciuto. Quando arriva una donna messicana a reclamare alcuni degli oggetti personali contenuti nel box, precedentemente appartenuto a lei, Nick rifiuta per principio. Inoltre Nick ha anche un altro problema: deve restituire una somma alla malavita che lo insegue e ricatta. Caso vuole che proprio il magazzino sia la sua gallina dalle uova d’oro: Nick trova un antico tavolino austriaco usato per sedute spiritiche, dall’altissimo valore economico, e tre volumi sull’evocazione del diavolo. Tuttavia le sorprese celate da questo luogo non sono tutte sogni ad occhi aperti.

Vincenzo Natali (Cube, Splice) dirige I ratti del cimitero, secondo episodio in cui il protagonista, come Nick nel primo episodio, è ossessionato da ciò che può trovare nelle tombe, nella speranza di potersi arricchire per sopravvivere. Quando assiste all’autopsia di un aristocratico accede a una succosa informazione: a quanto pare, ci sarà una sciabola d’inestimabile valore seppellita accanto a lui, ma i piani dell’uomo non vanno come previsto e il nostro protagonista si ritroverà costretto a dover recuperare il prezioso oggetto addentrandosi nelle viscere della terra. David Prior, su una sceneggiatura di David Goyer, gira un terzo episodio (The Autopsy) in cui il protagonista Carl si ritrova a dover esaminare i corpi senza vita di diversi minatori, morti di recente a seguito di un terribile incidente sotto terra. I corpi mostrano immediatamente delle anomalie e le autopsie di Carl prendono subito una pessima piega.

In The Outside, diretto da Ana Lily Amirpour, Stacey è una donna poco attraente che sogna di poter possedere la bellezza delle sue colleghe di lavoro. Quando viene invitata a un party natalizio da una di loro, Stacey riceve in dono Alo Glow, una crema misteriosa che però sembrerebbe far miracoli. Unico imprevisto: Alo Glow sembra causare una stranissima dipendenza dai suoi effetti, non proprio innocui. Il modello di Pickman, diretto da Keith Thomas (The Vigil), è un episodio ispirato a un racconto di Lovecraft in cui le opere d’arte di Pickman suscitano l’invidia di Will, che dopo averle viste comincia ad avere incubi e visioni terrificanti. La Catherine Hardwicke di Twilight realizza invece I sogni della casa stregata, dove il tentativo malriuscito di riportare in vita una persona s’incrocerà con le maledizioni di una pericolosa strega.

Diretto e scritto da Panos Cosmatos (Mandy), La visita è la bizzarra storia di un eccentrico miliardario, Lionel (Peter Weller), che vuole mostrare a un gruppo di esperti di musica, d’arte, di scienza, un oggetto dalle fattezze aliene e dalle caratteristiche sconosciute per cercare di capirne qualcosa. L’atmosfera si fa da subito pesante e la tensione fra gli invitati sfocia in un epilogo imprevisto. La Jennifer Kent di Babadook gira Il brusio, ultimo episodio in cui due coniugi, entrambi ornitologi (interpretati da Essie Davis e Andrew Lincoln), dovranno affrontare traumi repressi mentre la loro casa sul lago si rivela colma di spettri senza pace.

Cabinet of Curiosities, perché guardarla

La “Cabinet of Curiosities” del titolo è una stanza delle meraviglie, una Wunderkammer: s’intende un ambiente apposito in cui i collezionisti, dal sedicesimo al diciottesimo secolo, conservavano oggetti straordinari, unici per la loro rarità o per il loro alto valore (non solo economico). Quella di Del Toro è una collezione di nuovi autori che si è da poco affacciata sul mondo del cinema horror e che proprio il regista-produttore spagnolo si promette di preservare, come fossero oggetti rari e di altissimo valore. Nasce spontaneo qualsiasi paragone con un altro maestro prima di lui, quell’Alfred Hitchcock che fra il ’55 e il ’65 realizzò l’ormai storica Alfred Hitchcock Presents. Le analogie sono molteplici: dall’introduzione che fa da cappello a ogni episodio, ai suoi sottotesti pungenti che sottolineano l’ironia dell’autore, per finire infine alla forma stessa della serie, strutturata su personaggi e storie che in comune l’uno con l’altro non hanno altro che un’idea di orrore. Non solo Alfred Hitchcock Presents, ma anche The Twilight Zone – Ai confini della realtà. La struttura episodica spezzettata, a dire il vero, non è una novità per l’horror: basti vedere i numerosi film a episodi anni settanta e ottanta, fino ai giorni nostri: da Trilogia del Terrore a Creepshow, per proseguire con il recente Trick ‘r Treat e finire al nostrano I tre volti del terrore, di Mario Bava. I titoli si sprecherebbero.

Gli sguardi degli autori che si affastellano in Cabinet of Curiosities sono molteplici: ogni episodio possiede un’identità autoriale definita, determinata dall’incontro fra registi e sceneggiatori già collaudati nell’horror e consapevoli dei meccanismi del genere. L’armonizzazione perfetta fra una storia e l’altra è possibile non tramite una coerenza stilistica, assente per ragioni legate al formato stesso della serie, bensì tramite una linearità tematica in grado di combinare una visione all’altra per mezzo di concordanze concettuali. La predestinazione del Nick di Navarro sembra anticipare quella del protagonista di Natali, uniti nella cieca ossessione per un materialismo senza freni che sarà capolinea stesso delle loro esistenze, povere soprattutto sul piano morale ed etico.

Un’uniformità di atmosfere ci conduce dai cadaveri di Natali a quelli di Prior, stavolta aperti e capaci di rigenerarsi in alieni che parlano in flussi di coscienza ininterrotti. Gli stessi flussi di pensiero, taciti nella protagonista di Amirpour nel quarto episodio, producono un altro tipo di extraterrestre che ingloberà la personalità della donna, fino a proiettarla del tutto nel tormento accettato della perfezione estetica barattata con il benessere psicologico e famigliare. Congiunti arrivano i due episodi tratti dalla fantasia di Lovecraft, mentre Cosmatos e Kent suggellano l’epilogo con storie incentrate su rivelazioni di corpi sovrumani, o inumani. Del Toro, nelle vesti di produttore, mette in piedi un susseguirsi brillante e organico di riflessioni sulle possibili metamorfosi umane nella loro connotazione più repulsiva, dando ampio e libero sfogo al body horror in una concatenazione di visioni originali e demoniache sugli orrori del corpo.

Cabinet of Curiosities, perché non guardarla

Va da sé il consiglio più spontaneo per lo spettatore che non è avvezzo a un cinema e a una televisione horror nella sua accezione più pura: non guardate Cabinet of Curiosities se siete particolarmente sensibili a visioni esplicite. La macro-opera di questi autori riesce non solo nello scopo primario dello shock cinema, cioè di provocare ribrezzo e disgusto a partire da stimoli visivi (e sonori), ma anche nell’impresa non sempre facile di penetrare nelle ansie primordiali dell’essere umano per stabilirvisi anche oltre l’ultimo minuto di ogni episodio.

La brutalità di alcuni episodi, tuttavia, potrebbe risultare evidenziata da un non sempre convincente equilibrio nella scrittura. Mentre alcuni racconti funzionano in maniera impeccabile, ed è il caso di episodi come The Outside o Il brusio, in altri si ha l’impressione che ci sia minor coesione fra la componente puramente visiva e quella narrativa. È il caso di The Autopsy, in cui la bellezza formale non riesce comunque a esaltare un testo a tratti ridondante, o de I sogni della casa stregata che, al contrario, non riesce a coniugare un apparato testuale interessante con una resa visiva e registica altrettanto convincente. Una sorte peggiore tocca poi a I ratti del cimitero, episodio più corto fra quelli proposti (dura solo 38 minuti) e contemporaneamente il più dimenticabile, complice un’architettura narrativa sin troppo essenziale e prevedibile. Di questo, a proposito, consigliamo la visione nella versione in bianco e nero, disponibile sulla stessa piattaforma, che conferisce all’episodio un tocco old school enfatizzandone almeno i toni oscuri.

È proprio, dunque, la pluralità di voci, di sguardi e di stili croce e delizia di Cabinet of Curiosities, che potrebbe soddisfare solo per metà un pubblico che è sempre eterogeneo. È necessario poi riflettere sugli autori stessi che mettono in scena queste storie: Del Toro concede totale libertà creativa, col solo compromesso di rispettare una tematica portante e centrale. Il risultato è una commistione di cifre stilistiche nitide ed espresse con fermezza, visionarie senza confini e, per questo, forse non del tutto compatibili con ciò che parte del pubblico generalista potrebbe volere da una piattaforma come Netflix.

Cabinet of Curiosities, il trailer italiano

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