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Baby, la recensione (no spoiler) del teen drama italiano

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Ispirata a grandi linee dallo scandalo delle “baby squillo” del quartiere Parioli di Roma, Baby è una serie creata per Netflix da Andrea De Sica, Anna Negri e Letizia Lamartire. Attraverso la cornice del teen drama, prova a indagare le tante contraddizioni del mondo dell’alta borghesia romana, intrecciando le storie di alcuni adolescenti che si ritrovano invischiati in situazioni e mondi pericolosi e più grandi di quanto possano riuscire a fronteggiare.

La trama di Baby

Chiara Altieri (Benedetta Porcaroli) è una studentessa modella che frequenta il rinomato liceo privato Collodi. Siamo nei quartieri Parioli di Roma, uno dei più ricchi della capitale e abitato da famiglie benestanti e ben collocate nella società. Ludovica (Alice Pagani) è invece la pecora nera della scuola, scansata da tutti e umiliata da diverse vicissitudini legate a relazioni del passato.

Ci sono poi anche Niccolò (Lorenzo Zurzolo), che nonostante sia fidanzato intrattiene una relazione con Chiara, e anche Damiano (Riccardo Mandolini), che dopo l’improvvisa morte della madre è affidato alla tutela del padre, ambasciatore libanese a Roma. Per fronteggiare i diversi problemi che derivano dalle complesse situazioni familiari e dalla necessità di risultare conformi a un determinato modello sociali, il gruppo finisce per rimanere incastrato in contesti ambigui e illegali, con Chiara e Ludovica che si ritrovano ad accettare la proposta del losco Saverio (Paolo Calabresi) di diventare escort.

Perché guardare Baby

Lo spunto di cronaca dal quale Baby parte per andare a impiantare il suo racconto è utile alla serie per muovere una discussione sopra l’ipocrisia e il disagio di un certo tipo di società abbiente e di facciata. Gli intrighi nei quali i protagonisti dell’opera sono coinvolti riflettono un ambiente malato, fiaccato da una necessità di governare a tutti i costi le apparenze, di porsi in un modo prima che di essere in quel determinato modo.

Le famiglie di Chiara e Ludovica fungono da esempi chiarificatori. Quella della prima è sull’orlo del collasso, con il matrimonio tra i due genitori oramai al capolinea e con una vita da separati in casa che però deve mantenere un volto solido durante eventi mondani e occasioni sociali. La seconda è invece a casa con la madre, figura stralunata ed eterna adolescente ancora arrabbiata con un ex marito che l’ha lasciata per rifarsi un’altra vita.

In questo clima prolifera il senso di una serie che prova a ragionare sulle cause strutturali del collasso di un intero sistema, che malato a partire dalle sue istituzioni fondanti – la famiglia e la scuola, qui luogo di tossica competizione e inefficace – porta i suoi stessi rampolli a percorrere sentieri oscuri e indicibili.

Baby, perché non guardarla

Alcuni spunti di Baby funzionano, a partire proprio dalle premesse dette poco sopra. Alle conseguenze delle azioni incoscienti di questi giovani adulti acerbi e rancorosi fa eco il modo in cui a cannibalizzare il loro futuro siano proprio coloro che sarebbero deputati a proteggere questi teenagers e a mostrare loro una via alternativa al futuro.

Però progredendo nel corso delle sue tre stagioni Baby non riesce a mantenere mano salda sopra quello che vuole raccontare. Resta un po’ sospesa tra la voglia di denuncia e le esigenze di racconto da teen drama, calcando la mano sul costruire un ambiente adolescenziale talvolta idealizzato, fortemente artificioso e con cui è difficile entrare in contatto o empatizzare. Anche la tensione derivante dagli eventi che si ingigantiscono finisce verso la fine per farsi quasi grottesca, irrealistica prima di sgonfiarsi come un palloncino tra le tante derive che sceglie di imboccare.

La serie arriva insomma un po’ stanca alla sua conclusione. Non coniuga sempre bene la drammatizzazione e la critica che vuole far passare sotto traccia, uscendone fuori con un respiro strozzato a metà, mai davvero una cosa, mai davvero nemmeno l’altra.

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