Alien: Romulus, la recensione dell’ultimo capitolo della saga

Alien: Romulus

Non vi era dubbio che le aspettative dietro Alien: Romulus – ora al primo posto su iTunes e acquistabile su tutte le principali piattaforme VOD – fossero altissime, anche e soprattutto per chi era rimasto deluso dal dittico formato da Prometheus (2012) e Alien: Covenant (2017), che pur vedevan seduto dietro la macchina da presa il papà della saga, ovvero sir Ridley Scott, e che per chi scrive sono assolutamente meritevoli di riscoperta.
Ma serviva nuova linfa al franchise, un po’ sulla scia di quanto fatto con la saga omonima e collaterale di Predator con il recente Prey (2022) e chi meglio di Fede Álvarez poteva indicare una nuova via da seguire? Il regista uruguaiano aveva già rivisitato un cult storico del calibro de La casa con il suo remake Evil Dead (2013), un aggiornamento brutale e sanguinario, e vi era molta curiosità su come si sarebbe approccio alla mitologia classica dello xenomorfo e all’horror spaziale. Diciamo subito che di novità vera e propria non si tratta almeno a livello narrativo e temporale, in quanto ci troviamo davanti ad un midquel, collocato tra gli eventi di Alien (1979) e Aliens – Scontro finale (1986), i due capitoli migliori e più amati, e si ispira ad entrambi con un’inaspettata energia.

Alien: Romulus, la recensione: la caccia è aperta

Nell’anno 2142 la giovane Rain Carradine lavora in una colonia mineraria ma sogna di abbandonare per sempre quel luogo per raggiungere un pianeta lontano, nella speranza di trovare un passaggio per lei e il “fratello adottivo” Andy, un androide malfunzionante che è cresciuto insieme a lei. Quando scopre che la compagnia l’ha ingannata e che dovrà lavorare ancora per sei anni prima di ottenere il permesso di viaggio, Rain decide insieme ad alcuni suoi amici di tentare una missione disperata. Intorno all’orbita infatti ruota una stazione abbandonata, al cui interno vi sarebbero dei moduli criogenici che consentirebbero, a lei e gli altri, di restare in ibernazione sospesa per diversi anni, il tempo necessario al fine di raggiungere la meta designata. Ma i ragazzi non sanno che a bordo della stazione si nasconde qualcosa di estremamente pericoloso

Vecchio e nuovo

Quando è uscito in sala, la scena che ha fatto più discutere è stata una che arriva propriamente nelle fasi finali e che riguarda l’atto della nascita: non diciamo di più per evitare spoiler di un certo tipo, ma soprattutto il pubblico femminile potrebbe rimanere parzialmente scioccato. E quell’epilogo ha il grande merito di richiamare non soltanto il finale del primissimo capitolo della saga, ma anche quello del secondo, in una sorta di intelligente mix che pone insieme due differenti visioni, mostrando una creatura non del tutto nuova ma rinnovata e qui particolarmente inquietante, non solo per ciò che concerne il suo aspetto esteriore.

Ma è proprio nel calibrato mix di atmosfere, da quella più claustrofobica e oscura che caratterizzava il capostipite firmato dallo stesso Scott fino a quell’anima blockbuster memore dell’altrettanto memorabile secondo episodio diretto da James Cameron, che Alien: Romulus trova ritmo e feeling. Quella suspense dell’ultimo secondo e un sano polso di genere per quasi due ore all’insegna di uno spettacolo godibile, violento e ansiogeno al punto giusto, supportato da ottimi effetti speciali e da un design che guarda al classico per proporre piccole sfumature qua e là.

Buono il cast, in particolar modo la principale protagonista interpretata da Cailee Spaeny che, a dispetto del fisico minuto, ha indole da vendere e da segnalare anche la succosa presenza di un cameo “postumo”, realizzato tramite intelligenza artificiale ed effetti digitali, che farà la gioia degli appassionati storici del franchise.

Conclusioni finali

Fede Álvarez non si prende eccessivi rischi ma introduce un paio di spunti interessanti in un’operazione che guarda esplicitamente alla mitologia della saga, in particolare ai primi due iconici capitoli: non è un caso che la storia, stand-alone, sia collocata proprio a cavallo tra Alien (1979) e Aliens – Scontro finale (1986).

Citazioni e omaggi apprezzabili, in una narrazione che è sci-fi pura nella gestione di quest’orrore archetipico, con xenomorfi e facehugger d’ordinanza che fanno da apripista ad una resa dei conti sanguinaria, la cui genesi è tra le immagini più cruente delle due ore di visione. Tensione, violenza e azione, con la maggior parte dei personaggi quale carne da macello ad accompagnare l’improba missione della minuta, ma tostissima, Rain di Cailee Spaeny.

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