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Alice De André regista di “Take Me Aut, l’eroe che è in me”. Nel cast ragazzi con sindrome di Asperger

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Alice De André, scrive e dirige TAKE ME AUT, L’EROE CHE È IN ME, lo spettacolo in collaborazione con “Fondazione Un Futuro per l’Asperger Onlus”, in scena il 19 ottobre alle ore 20.00 presso il Teatro Gerolamo di Milano. Lo spettacolo, e sviluppato durante un laboratorio teatrale della Scuola Futuro Lavoro, parte della “Fondazione Un Futuro per l’Asperger Onlus”,vede protagonisti i talentuosi ragazzi della fondazione.

Lo spettacolo mette in risalto la forza e la coesione del gruppo, dove la caduta di uno comporta il crollo di tutti. Attraverso una riflessione sull’eroismo e il superamento delle paure, invita il pubblico a considerare come, nonostante le nostre apparenti differenze, siamo tutti accomunati dalla stessa vulnerabilità e dalle stesse paure. Il cast include: Javier Di Benedetto, Luigi Lotto, Tommaso Noci, Fabio Palpon, Beatrice Papa, Morgan Radice, Mattia Scarpa, Fabio Valcarenghi e Riccardo Zangarini. A guidare i giovani interpreti sarà l’educatrice Sara Pozzali, mentre il testo e la regia sono firmati da Alice De André, figlia di Cristiano nonché nipote del grande Fabrizio. La locandina è curata da Patrizia Convertino. Noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato Alice e con lei abbiamo parlato dell’iniziativa e sopratutto di un tema ancora inesplorato come l’Asperger. 

Alice De André: intervista

Lo spettacolo “Take Me Aut, L’eroe che è in me” si basa sul “viaggio dell’eroe”. Cosa ti ha portato a esplorare questa tematica? 

“L’idea dello spettacolo nasce da un laboratorio in classe che si chiama “Il viaggio dell’eroe”. Ogni settimana propongo dei laboratori diversi che hanno a che fare con l’improvvisazione, oppure con le emozioni. Quel giorno i ragazzi hanno dovuto interrogarsi su che cosa fosse un eroe per loro. Ovviamente abbiamo preso in considerazione gli eroi più classici e ci siamo chiesti se sono i superpoteri che li rendono eroici o c’è altro. Abbiamo visto insieme che non sono la maschera o il mantello a renderli eroi ma le azioni che fanno, come il voler salvare il mondo o aiutare gli altri. Abbiamo scoperto che tutti possiamo essere eroi. Quando gli ho chiesto questo, mi hanno guardata sbigottiti, perchè noi non possiamo essere eroi a causa delle nostre difficoltà, perchè non ci siamo sentiti di esempio per nessuno. Vedendo con i miei occhi il loro interesse sull’argomento, mi sono detta: dobbiamo lavorare su questo”. 

Durante il laboratorio, come hai visto i ragazzi con sindrome di Asperger evolvere nel loro modo di percepire l’eroismo? Ci sono stati momenti che vorresti condividere?

“Durante un esercizio dove ognuno di loro, in forma anonima, doveva scrivere quale fosse il suo obiettivo nella vita e cosa lo ostacolava per il raggiungimento dell’obiettivo, argomenti su cui poi bisognava scrivere una storia, i ragazzi si sono sentiti ispirati e hanno acquisito sicurezza quando hanno visto che le cose erano possibili. Quando hanno visto che lo spettacolo è stato comprato e che saremmo andati su un palco, loro hanno acquisito sicurezza, autostima e che anche loro possono sentirsi degli eroi”. 

In che modo pensi che lo spettacolo aiuti il pubblico a riflettere sulle sfide di tutti i giorni?

“Parliamo di questo, i ragazzi ci dicono che possono essere anche diversi per via della sindrome, ma le paure e le gioie sono comuni per tutti, non c’è differenza. Lo spettacolo ci dice che è bello essere diversi ma che comunque siamo tutti insieme”

Com’è stato dirigere un cast composto da ragazzi con sindrome di Asperger? Ci sono stati momenti che ti hanno sorpreso?

“Dirigerli è stato semplice, siamo coetanei, parliamo la stessa lingua. Si è istaurato un rapporto di massima fiducia. La loro creatività mi ha sorpresa molto perchè quando ho chiesto loro di portare il loro eroe preferito è stato molto interessante vedere che alcuni hanno portato eroi classici altri mi hanno portato Forrest Gump, o un personaggio dei fumetti che non conoscevo. Questo aspetto mi ha incuriosita molto. Con le loro esperienze loro mi hanno aiutato a scrivere lo spettacolo. È stato bello vedere questa loro forma di espressione”. 

C’è un messaggio che vorresti che il pubblico portasse con sé dopo aver visto lo spettacolo?

“La canzone di David Bowie che è la colonna sonora del spettacolo che appunto ci dice che possiamo essere eroi anche per un solo giorno. Più che andare via con una risposta mi piacerebbe che il pubblico esca dal teatro con una domanda del tipo: Chi è veramente un eroe e quando sono stato anche io un eroe?”

La Fondazione un Futuro per l’Asperger ha un ruolo cruciale nell’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Asperger. Come vedi il teatro come mezzo per favorire l’inclusione?

“Il teatro e l’arte in generale può essere molto terapeutico. È sicuramente un grande mezzo per comunicare. Vedere questi ragazzi risplendere sul palco, liberi, anche per i genitori è stato incredibile. Alcuni non riuscivano a parlare, invece ora fanno monologhi di 5 minuti. Penso che l’intrattenimento e la leggerezza sia molto utile anche a denunciare. L’arte è un mezzo che può servire a denunciare cose sbagliate”.

Essendo anche attrice e stand-up comedian, come le tue esperienze hanno influito sulla tua regia in “Take Me Aut”?

“Beh si. A me piace la recitazione brillante. È uno spettacolo molto parlato. Oltre a farci riflettere è auto ironico. Sicuramente le mie esperienze mi hanno aiutato a fare la regia. Io sono innamorata del teatro”. 

Hai nuovi progetti in cantiere che toccano tematiche del genere?

“Partirò per la Calabria dopo lo spettacolo per un laboratorio di un Liceo e i ragazzi di un centro. Abbiamo deciso di unire questi ragazzi e farli lavorare insieme. Credo sia importante aiutare i ragazzi a lavorare tutti insieme”

Hai dichiarato di recente che tuo padre Cristiano soffrì per il suo cognome. A te invece cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto un cognome così importante? 

“È un onore immenso per me e per mio padre portare il nostro cognome, siamo consapevoli di questo. Ognuno di noi è una persona a parte, c’è questa tendenza di vederci come delle estensioni o dei prolungamenti con quello che è stato il passato della nostra famiglia. Ognuno fa il suo lavoro. Avere un cognome come il nostro risulta difficile quando dei interfacciarti con persone che continuano a fare un paragone con quello che è stato il percorso iniziato da mio nonno Fabrizio. Essere la nipote e di Fabrizio De André non deve  secondo me significare eccezionalmente qualcosa. Ci sono aspettative sul nostro lavoro altissime e queste sono un po’ le sono le sofferenze. Io non rinuncerei mai al mio cognome, lo porto con grande onore e grande orgoglio”. 

Hai raccontato che a scuola hai combattuto con le bulle che volevano buttarti giù dalle scale: raccontaci come hai superato questa cosa. 

“Sono sempre stata una ragazzo molto forte, sono sempre stata abituata a parlare e a non essere omertosa. Appena ho notato atteggiamenti sbagliati ne ho parlato. La realtà in cui studiato non ha supportato, il problema veniva sminuito dicendo che erano delle ragazzate. A del nnt è dovuta intervenire mia madre. Quello che mi ha aiutata sono state le persone attorno a me, come mia madre che è sempre stata molto presente”. 

Tu sei nata pochi mesi dopo la morte di tuo nonno Fabrizio. Se avessi avuto la possibilità di viverlo come pensi sarebbe stato il vostro rapporto? 

“Mio papà mi dice sempre che con me sarebbe stato un nonno incredibile e voglio fidarmi. È una presenza fissa nella mia vita perchè ho la fortuna che mio nonno è Fabrizio De André. Immagino che il nostro rapporto sarebbe stato meraviglioso e di grande scambio e che sarebbe stato molto orgoglioso di me”. 

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